26 Giugno 2020
- Spazio Bibbia, Bereshit

Commento alla prima Lettura della XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) a cura di M.Francesca e Letizia ap

Dal secondo libro dei Re
(2Re 4,8-11.14-16)

Un giorno Eliseo passava per Sunem,
ove c’era una donna facoltosa, che l’invitò con insistenza a tavola.
In seguito, tutte le volte che passava,
si fermava a mangiare da lei.
Essa disse al marito: “Io so che è un uomo di Dio, un santo,
colui che passa sempre da noi.
Prepariamogli una piccola camera al piano di sopra,
in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo,
una sedia e una lampada, sì che, venendo da noi, vi si possa ritirare”.
Recatosi egli un giorno là, si ritirò nella camera e si coricò.

Eliseo chiese a Giezi suo servo:
“Che cosa si può fare per questa donna?”.
Il servo disse: “Purtroppo essa non ha figli e suo marito è vecchio”.
Eliseo disse: “Chiamala!”. La chiamò; essa si fermò sulla porta.
Allora disse: “L’anno prossimo, in questa stessa stagione,
tu terrai in braccio un figlio”. 


Sarebbe bastato un «bicchiere d’acqua fresca» per ristorare Eliseo, il profeta di Dio, e la donna avrebbe ricevuto la propria benedizione (cf. Mt 10,42), ma questa signora di Sunem vi aggiunge il pranzo e una camera. 

Questo brano della parola di Dio non è un “piccolo manuale di arredamento di interni” ante litteram, ma un pezzo di storia quotidiana di una famiglia che riconosce in un uomo, nel profeta, la presenza di Dio. La cura di questa donna è materna, anche se di figli nel racconto ancora non ne ha, perché ella sa farsi madre di chi entra nella sua vita e nella sua “casa”, per caso o per dono, come scoprirà poi. La donna, che diventerà madre per opera di Dio, ha già in sé questa attitudine e questa generosità e lo dimostra preparando il letto, la lampada, la sedia, la scrivania, curando tutti i particolari per fare spazio a chi viene in nome di Dio, quindi a Dio stesso: «chi accoglie voi accoglie me» (Mt 10,40).

Se riconosciamo nell’altro qualcuno che viene in nome di Dio possiamo fare come questa donna, possiamo cioè rendere la sua presenza “a casa nostra” non più saltuaria ma stabile. Perché da noi possa ritirarsi, cioè sentirsi a casa sua in una solitudine rigenerante, stare in disparte senza di noi. Questo è il significato del verbo ebraico che dice la grande delicatezza della donna: permettere all’altro di avere uno spazio proprio. È vivere la relazione senza essere invadenti e lasciare all’altro la libertà di essere se stesso. 


Qôl/call

Curare i particolari in una relazione è far sentire l’altro il nostro ospite più atteso come la donna di Sunem per Eliseo, attraverso gesti concreti o parole condivise… questo vale anche per Dio, “ospite dolce dell’anima”. 

sr. M. Francesca 
frasca.mfrancesca@apostoline.it