17 Settembre 2021
- Spazio Bibbia, Bereshit

Commento alla prima Lettura della XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) a cura di M.Francesca e Letizia ap

Dal libro della Sapienza (Sp 2,12.17-20)

[Dissero gli empi:]
«Tendiamo insidie al giusto,
che per noi è d’incomodo
e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.
Vediamo se le sue parole sono vere,
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza
e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».


Chi sono gli empi a cui oggi, nella lettura, si dà la parola? Nel discorso più ampio del Libro (nel capitolo secondo della Sapienza), gli empi sono coloro che non credono nella giustizia, che compiono azioni che vanno contro la Legge, dediti ai vizi e desiderosi di far fuori i «giusti» perché gli ricordano come dovrebbero essere e invece non sono. Gli empi, così descritti, non c’entrano niente con noi.
Eppure c’è un pensiero più sottile che attraversa la mente degli empi che qui, grazie all’abilità di rappresentazione drammatica dell’autore del libro, danno sfogo alle loro intenzioni. Agli empi, in fondo, ciò che da fastidio del giusto è la debolezza (cfr. Sap 2,11). Il giusto è uno debole. Debole perché non risponde al male, perché è vulnerabile (a tal punto che può essere colpito).
Chi è debole ai loro occhi è, in realtà, chi si affida a Dio e si considera suo figlio.
L’empio non ha il coraggio di affidarsi e allora vuole far fuori dalla sua vista il giusto che dalla consapevolezza della sua debolezza fa nascere la preghiera (cfr. Sap 6).
Qui lo scontro è tra chi si crede forte senza Dio e chi accoglie di essere un debole perché sa che la vera forza risiede nella capacità di essere in pace con se stessi e di non rispondere con altro male al male che si riceve.


Qôl/call

«Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande» (Mc 9,34)… il voler essere grandi è in fondo un desiderio umano, comprensibile, che attraversa le nostre vite. Il punto è: «Come essere grandi?» o, in altre parole, come «Essere forti?». San Paolo dice: «quando sono debole è allora che sono forte» (2Cor 12,10) perché sa che è nella debolezza che può entrare la grazia di Dio che rende felici e sicuri di ciò che si è.

sr. M. Francesca 
frasca.mfrancesca@apostoline.it