Dallo Spazio profondo,
quale possibile futuro per la vita?
Guardare il cielo suscita molte e differenti domande raggruppabili sotto due grandi approcci: “come” funziona ciò che vediamo e “perché” c’è quel che vediamo. Sono chiaramente due piani diversi di approccio alla realtà che non si escludono a vicenda anzi possono integrarsi e stimolarsi reciprocamente.
Di certo GUARDANDO IL CIELO vediamo che nulla è statico ma tutto è dinamismo, cambiamento, “vita” nel senso ampio del termine. Vediamo stelle nascere e morire, vediamo galassie che si incontrano e che si possono fondere, vediamo nascere pianeti intorno a stelle della nostra galassia (e an-che se non li vediamo succederà lo stesso in altre galassie). Tutto ci dice che vita e morte sono compresenti nell’universo, anzi direi quasi indispensabili l’una all’altra.
La varietà degli elementi chimici presenti in natura, non solo sulla Terra, devono la loro esistenza ad un processo evolutivo nel quale il “sacrificio estremo” sembra essere la chiave di volta: le stelle, in un ultimo rigurgito di vitalità, quando muoiono regalano allo spazio il frutto di una gestazione durata milioni di anni, grembi silenziosi capaci di generare in modo sommesso e nascosto i germi di vita.
Noi siamo figli di questo lungo processo che dal semplice e dal fondamentale conduce al complesso: dalla fusione degli atomi di idrogeno alla formazione di tutti gli elementi chimici e poi l’aggregazione degli atomi a formare le molecole; un instancabile processo che attraverso la morte genera nuova vita. E di fronte a ciò, solo la meraviglia può adeguatamente esprimere lo stupore e la gratitudine per tutto questo processo che sembra avere nella vita, ogni vita (pianeti, stelle, galassie, animali, piante), il suo vertice. E vorremmo fortemente che tutto questo fosse per sempre, vorremmo fortemente che non ci fosse un arrestarsi del processo e che alla fine la parola fosse solo vita! Il nostro anelito al “per sempre” ci induce a desiderare che sia così. Ma la storia dell’universo, pur portando inconfutabili tracce del passaggio dalla morte alla vita e dello svilupparsi di una vita sempre più ricca e complessa, ci pone anche davanti alla caratteristica innegabile della fragilità del creato, al fatto che esistono processi senza ritorno con un continuo e lento logoramento delle forze e delle energie naturali che sostengono la vita.
Affascinati e quasi storditi dal bello che vediamo in cielo, dagli spettacoli colorati dei pianeti, delle stelle e delle galassie, siamo naturalmente portati a dimenticare che sono il frutto di una gestazione e di un parto che non è esente da doglie e che comunque consuma un po’ alla volta la partoriente. Ma la gioia e la bellezza del neonato spettacolo cosmico ci portano a credere che sì, tutto si consuma, ma che forse in qualche “altrove” esiste qualcuno che custodisce con amore e delicatezza tutto il bello che il tempo e la materia sono stati capaci di generare. Il frutto più bello di questa involontaria esibizione di grandezza e di potenza non è tanto gloria bensì speranza.
Solo avendo in animo questa speranza, possiamo intuire che forse la vita non è destinata a morire, ma l’intero universo potrebbe essere la placenta che custodisce il germoglio di una vita che non ha fine.
Ci piacerebbe che l’universo ci confermasse che è così, che davvero siamo tutti insieme, noi e l’intero universo, il feto che vedrà la luce in uno spazio dove tutto sarà per sempre. Gli occhi dello scienziato della natura non sono così penetranti da vedere chiaramente la conferma di questa speranza, anche se il continuo fiorire e rifiorire della vita da ogni cenere precedente dice che forse è così. Il segno c’è tuttavia e anche la conferma, e viene dalla più fragile delle creature di questo immenso universo: l’uomo che ha scoperto il segreto della vita senza fine e questo segreto ce lo ha pure rivelato: “Se vuoi ama” e la vita sarà per sempre!
(Alessandro Omizzolo, rivista SE VUOI 4/2022)