La “Vita Nova”

di Dante Alighieri

 

Le celebrazioni ufficiali sono cominciate già da un po’, ma l’anniversario cadrà più avanti, nella notte fra il 13 e il 14 settembre. Fu allora che sette secoli fa, nel 1321, Dante Alighieri morì a Ravenna, dopo lunghi anni trascorsi in esilio lontano da Firenze, la città in cui era nato nel 1265. Libri, conferenze, convegni e iniziative di ogni genere ci ricorderanno spesso che questo 2021 si svolge sotto il segno di Dante, il massimo poeta della letteratura italiana e uno dei geni più straordinari di ogni tempo. Che cosa c’è di tanto eccezionale in lui? Per esempio il fatto che non soltanto ha concepito un’opera come la Divina Commedia, ma è anche riuscito a portarla a termine. Attenzione: “ci è riuscito” non equivale a “è stato capace” e nemmeno a “è stato bravo”. Certo, Dante aveva sviluppato le sue capacità attraverso lo studio e non c’è dubbio che la tecnica di cui disponeva facesse di lui uno dei più bravi fra gli autori della sua epoca, ma questo ancora non è sufficiente a spiegare il mistero della sua unicità. Quando diciamo che Dante “è riuscito” a completare il suo poema, stiamo dicendo che Dante ha saputo mantenersi coerente al progetto di vita che gli si era manifestato in gioventù: ha intuito qual era la sua chiamata e non ha mai smesso di restarle fedele. È lui stesso a raccontarcelo in un piccolo libro che, se volete, potete leggere come se fosse un romanzo di oggi. Non ci sono interrogazioni di mezzo, questa volta, anche se le interrogazioni servono, e serve tantissimo la scuola. Procuratevi una qualsiasi edizione della VITA NOVA, basta che il testo scorra con continuità, senza troppe note, tanto per approfondire c’è sempre tempo. Magari non capirete tutto, magari qualche termine vi sembrerà difficile, ma è importante che, almeno per una volta, l’incontro con Dante avvenga in maniera diretta: le sue parole sulla pagina e voi che le leggete. Vi accorgerete che la Vita Nova (o Nuova, sulla grafia anche gli studiosi hanno opinioni differenti) è anzitutto la storia di un ragazzo nella cui esistenza entra all’improvviso qualcosa di inspiegabile e meraviglioso. Potremmo cavarcela sostenendo che Dante si è innamorato, e questo è vero, ma solo in parte. Sappiamo che la Vita Nova è stata composta negli anni successivi al 1292 e sappiamo anche che Beatrice Portinari, la donna che per gli storici corrisponde alla Beatrice del libro, era morta poco prima, nel 1290. Questa è la cornice dei fatti e non va dimenticata. Dante, però, è un uomo del Medioevo e per il Medioevo i fatti sono l’inizio, non la fine di un’interrogazione interiore che comporta sempre la ricerca di un significato più autentico, di una verità che va al di là di quello che sentiamo e vediamo. Se leggete con attenzione, vi accorgerete che Dante non parla di Beatrice come di una persona tra le altre, ma si riferisce a una creatura «la quale fu da molti chiamata Beatrice».

Il poeta la incontra quando entrambi hanno nove anni e anche questo non è privo di significato: il nove, numero perfetto, è il quadrato di tre, il numero che a sua volta regge l’intero edificio della Divina Commedia (il poema è diviso in tre cantiche, i versi sono ordinati in terzine, lo scopo ultimo è la contemplazione di Dio nella sua Trinità). Ancora bambino, Dante riceve da Beatrice la «salute», che è sì il saluto, ma è anche e specialmente la salvezza. O, meglio, la promessa che la salvezza esiste e che nulla, neppure la morte, potrà mai impedirne il trionfo. Uno degli elementi più affascinanti della Vita Nova sta nel fatto che, a uno sguardo superficiale, nel libro non succede quasi niente. Non è un romanzo d’avventure (Dante si rifarà poi con la Divina Commedia, che è un resoconto di viaggio in piena regola), ma la cronaca di una quotidianità attraversata da rari segnali, che chiedono sempre di essere interpretati. Dai diciott’anni in poi, quando le occasioni per rivedere Beatrice iniziano a moltiplicarsi, Dante compone poesie – tra cui il celeberrimo sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare – che entrano con naturalezza nel racconto, così come nel diario di ciascuno di noi entrano immagini, frasi prese dai libri, canzoni. Ogni volta che trascrive una sua poesia, Dante si preoccupa di spiegare quali fossero le sue intenzioni, quale motivo lo abbia spinto a scegliere proprio quelle parole. Sta ancora cercando se stesso, ma lo fa con determinazione, con il coraggio purissimo dell’età giovanile. Ha già capito che tutto quell’amore e tutta quella sofferenza nascondono un significato che si svelerà lassù, «oltre la spera [sfera] che più alta gira». Non perché quello che accade sulla terra non abbia valore, ma perché gli esseri umani non possono fare a meno di guardare il cielo.

(Alessandro Zaccuri, rivista SE VUOI 1/2021)