CAST TECNICO

Titolo originale: Jojo Rabbit
Regia: Taika Waititi
Sceneggiatura: T. Waititi e C. Leunens
Fotografia: Mihai Mălaimare Jr.
Montaggio: Tom Eagles
Musiche: Michael Giacchino
Scenografia: Ra Vincent
Costumi: Mayes C. Rubeo
Durata: 108’
Genere: Commedia, drammatico, guerra
Nazione: Nuova Zelanda e USA
Produzione: Fox Searchlight Pictures,
TSG Entertainment
Distrib. Italia:  20th Century Fox Italia
Uscita in Italia: 2019

CAST ARTISTICO

Johannes “Jojo Rabbit”: Roman Griffin Davis
Elsa Korr: Thomasin McKenzie
Rosie Betzler: Scarlett Johansson
Adolf Hitler: Taika Waititi
Capitano Klenzendorf: Sam Rockwell
Fräulein Rahm: Rebel Wilson

Sguardo di insieme

Siamo nella Germania nazista, precisamente nel 1945 e veniamo a conoscenza di un bambino di soli dieci anni, dal nome Johannes Betzler, soprannominato Jojo, che vive solo con la madre per aver perso il padre in guerra e, da poco tempo, anche la sorella. Jojo trascorre le sue giornate in compagnia di un amico immaginario, risultato di una devotissima ammirazione dovuta al regime nel quale il piccolo è nato e cresciuto: lo stesso Adolf Hitler, in una versione decisamente infantile, quasi quasi sotto le spoglie di un buffone. Jojo ha anche un amico reale, Yorki, con il quale trascorre molto del suo tempo. È con lui, difatti, che partecipa alle riunioni della Gioventù hitleriana, guidate dal capitano Klenzendorf e da Fräulein Rahm. Ambedue gli “educatori” indottrinano i bambini nelle idee aberranti naziste e insegnano strategie di guerra. Accade che viene ordinato a Jojo di uccidere un coniglio, ma lui si rifiuta e prova a liberarlo. Viene così umiliato che gli viene dato il soprannome di Jojo Rabbit o Jojo Coniglio. Per dare prova del suo coraggio, però, Jojo, dopo una chiacchierata con Adolf lancia, senza permesso, una Stielhandgranate 24 ferendosi al volto e alla gamba. Quando il piccolo si riprende viene riportato dalla madre al Capitano con la richiesta precisa di includerlo nel gruppo. I capi gli assegnano lavori meno impegnativi come fare propaganda e raccogliere residui di prodotti industriali.
Jojo, quando un giorno si trova a casa da solo scopre Elsa Korr, un’adolescente ebrea che era stata compagna di classe di sua sorella che si è nascosta nella sua stessa casa. Jojo minaccia di consegnarla alla Gestapo, ma Elsa gli ricorda che la madre verrebbe uccisa se lui lo facesse. Gli proibisce anche di dirlo alla madre. Jojo pattuisce che in cambio lei gli debba raccontare i “segreti ebrei” per poter scrivere un libro per il Capitano. La ragazza inventa segreti strani come la lettura del pensiero e il bambino ci crede. La madre però si lega ad Elsa e la prende quasi come figlia. Adolf, l’immaginario amico litiga con Jojo. Le peripezie nel film si susseguono sino alla fine.
La guerra finisce e Jojo scopre gli inganni del nazismo che crollano uno ad uno. In ultimo, il bambino prende a pedate il suo amico immaginario e si libera definitivamente del suo influsso. È cresciuto, finalmente.

Linee di lettura

Il film, pur nella sua complessità narrativa, è lineare nello sviluppo dei nodi tematici: il primo è costituito dalle ideologie assolutiste, vero danno per tutti; il secondo è la vicenda di formazione, il coming of age che vive, in un modo o nell’altro, ogni bambino. Il terzo è l’eterna lotta odio contro amore. Non dimentichiamo il “nodo” dell’amico immaginario che, per la psicologa infantile Stephanie Carlson, è spesso un personaggio abile, quasi un supereroe che detiene potere ed esercita grande fascino. Diventare un perfetto nazista è per Jojo un obiettivo di vita. Il diabolico nemico dell’umanità viene rappresentato come un clown, con movenze buffe mentre invita il bambino a odiare il popolo ebreo senza conoscerlo e senza averne incontrato nessun membro. Avere come obiettivo ultimo l’uccisione dell’altro che non si conosce, era grave ieri ed è grave oggi. Difatti il film, a livello educativo, invita a “conoscere” le persone al di là delle etichette che sono state poste sulle loro spalle. Conoscere le persone che temiamo è il percorso per accoglierle ed accettarle. Direi di più, per amarle. Di fronte a “nomi collettivi” che colpiscono intere categorie di persone c’è la responsabilità di chi infatua le menti con ideologie che niente hanno a che vedere con il vero, il bello e il bene.
È stato scritto che nello humour di Waititi c’è il desiderio di sconfiggere la crudeltà che è in noi. Già. Difatti, prendere in giro il grande-piccolo Adolf è quasi il ritornello del film. Così le gag  esilaranti del film, che si susseguono una dopo l’altra, danno all’opera quell’aura di assurdità che lo caratterizza. In fondo è, sì, un film molto divertente, ma di quel divertimento amaro quando ci si mette di fronte alla storia. Eppure il film fa posto all’amore perché solo l’amore rende persone migliori, umane, esattamente come gli altri, con gli stessi sentimenti di paura e di gioia, di ansia e di sconforto.
I dialoghi nel film sono brillanti; la recitazione, curata e spontanea. Impagabili sono i bambini e Elsa, che cela una grande tristezza e paura, ma è agguerrita di quel coraggio che viene dalla disperazione. Bella la mamma di Jojo, dotata di amore, di compassione, di un grave e reale senso della vita. Bella nella sua volontà di far crescere la ragazza ebrea come se fosse sua figlia.
Nel film viene, forse, rappresentato un nazismo divertente? No, l’orrore della II Guerra mondiale non viene cancellato né nascosto. È tutto là, sotto la cenere della risata, a ricordarci un buio atroce.
Le scelte cromatiche e lo stile di regia sono molto ben definiti così come sono ben definiti, da una parte, il potere della propaganda e, dall’altra, il potere del dialogo.

Perché non interrogare noi e chi ci è accanto sul potere dell’odio? Su come i giovanissimi, quando addestrati, ingoiano un veleno difficile da neutralizzare? Quanta e quale responsabilità incombe sui grandi? Sui politici? Sugli educatori? Su di noi? Come mettiamo a confronto intolleranza e comprensione? Odio e amore nell’eterna lotta tra il bene e il male?

(Caterina Cangià, SE VUOI 5/2020)