Fratelli e sorelle dei Rom

Testimonianza di sr.Clémence

 

 

Nella sua ultima enciclica il Papa ci ha invitati a un amore che sorpassa le “di­stanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione” (n. 3).  E per questo non c’è biso­gno di partire lontano. Ancora oggi in Italia, esi­stono luoghi in cui si ha l’impressione di entrare in un altro Paese: la lin­gua, i costumi, l’alimentazione, tutto ha un “gusto straniero”. Entrando al campo, le prime note arrivate ai miei orecchi sono state la musica Ru­mena, poi le grida e le ri­sate dei bambini, e infine un doppio intreccio di lin­gue romanes e rumena. Il naso e il palato, anch’essi, non hanno smesso di en­trare negli odori di verze, carne grigliata e “gogoch” (specie di frittelle) che si mischiavano in inverno a quello del fuoco a legna capace di scaldarci… Odori, sensazioni che poco a poco, da estranei che erano sono divenuti fami­liari… profumi di una casa che si è felici di ritrovare!
VORREI CONDIVIDERE CON VOI OGGI COME I “GITANI” SONO VERAMENTE DIVENUTI PER ME FRATELLI E SORELLE.
Fratelli e sorelle perché siamo stati accolti fra loro e da loro. I campi dove abitano i Rom sono spesso consi­derati come dei luoghi chiusi su se stessi. E tuttavia, è là, in mezzo a loro, che io ho vissuto una delle più belle esperienze di accoglienza, di ami­cizia che può riunire persone di lingue, religioni, culture e origini così dif­ferenti. È perché Roberta e Manuela ci hanno of­ferto un bicchiere d’ac­qua nella nostra prima visita che noi abbiamo potuto fare un passo in più; è perché Samuel ci ha trovato un posto per mettere il nostro camper che noi abbiamo potuto dormire in mezzo a loro; è perché Maria, Luna, Simona… hanno oltrepas­sato la porta della nostra baracca; è perché altri an­cora ci hanno permesso di entrare nelle loro vite che noi abbiamo potuto vivere tra loro tutti questi anni.
Fratelli e sorelle perché abbiamo condiviso lo stesso pane e la stessa tavola. Dopo aver visto, davanti ai nostri supermercati, i Rom come quelli che “chiedono” e vivono della nostra generosità, stando con loro ho scoperto quanto loro stessi siano generosi e capaci di do­nare a loro volta quello che hanno ricevuto. Vedo ancora Luminiza attraversare il campo e arrivare da noi con le braccia cariche di un grosso pane ap­pena uscito dal forno. L’ha spezzato davanti a noi e ce ne ha data la metà: “Questo è per voi”. Involtini di verza, carne gri­gliata, crepes o altri dolci… impossibile contare quante volte i piatti mi­gliori hanno rallegrato la nostra tavola di sapori condivisi e di amicizia. E tutto questo senza con­tare tutte le volte che siamo state invitate a condividere la loro stessa ta­vola.

Fratelli e sorelle perché abbiamo condiviso in­sieme gioie e dolori. Le gioie non mancano al campo perché i Rom amano celebrare. Anche con molto poco non per­dono l’occasione per rendere la vita una festa. Traian è venuto alla luce e dorme fra le braccia di sua mamma, Azur festeg­gia tutto fiero i suoi 10 anni, Adam e Emanuela si sposano: tante occasioni per ritrovarsi, mangiare, cantare e ballare insieme fino a tarda notte. Come dappertutto, anche le pene e i dolori non mancano. Tuttavia fra i Rom tutto è vissuto insieme. Più volte, ci siamo ritrovate a vegliare, tutti attorno al fuoco per non lasciare solo o sola chi ha appena ricevuto una cattiva noti­zia: un parente malato o che è vicino alla morte… Anche i lutti radunano tutta la comunità per un pasto in onore di chi ci ha lasciato (la pomana). Che emozione quando Corne­lia è venuta a chiamarci un anno dopo la morte di suo figlio affinché noi partecipassimo al pasto in suo onore, o quando Mariana ci ha chiesto di aiutarla a preparare la “pomana” il giorno della morte di sua mamma, proprio come se noi fa­cessimo veramente parte della famiglia.
Fratelli e sorelle perché figli e figlie di uno stesso Padre. Raluca, Lucian e Olimpia mi hanno insegnato molto con la semplicità della loro fede: una fede radi­cata nella vita, in Dio, nella sua provvidenza, nel suo amore. Una fede che riconosce la presenza di Dio nelle nostre vite e si rivolge spontaneamente a lui. Una fede nella quale ci possiamo ricono­scere tutti figli e figlie di uno stesso Padre, anche se di tradizioni differenti.  È per tutto questo che oggi io posso dire con il Papa: “Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (Fratelli tutti, n. 8).
Sì, con Papa Francesco sogno perché ho fatto l’esperienza che questo sogno può diventare realtà.

(Rivista SE VUOI, 1/2021)