Nessuno è escluso dall’amore di Dio

“Quando la comunione tra cristiani è una vita vissuta e non solo una teoria, questa diffonde una speranza luminosa. E ancora più: può sostenere l’indispensabile ricerca di una pace nel mondo”: queste parole di frère Roger, fondatore della Comunità di Taizé (Francia), riassumono in qualche modo l’intera sua vicenda, in cui la comunione concretamente vissuta e sperimentata (con Dio, con i fratelli della sua comunità e con tutti gli uomini) occupa un posto così rilevante.

Per molte persone, il nome di Taizé, suona famigliare: da ormai mezzo secolo, la comunità accoglie in effetti ogni anno decine di migliaia di persone, soprattutto giovane. A loro, i fratelli offrono, attraverso la preghiera, di vivere una comunione con un Dio infinitamente vicino e, nell’incontro con altri, di sperimentare la Chiesa al di là delle barriere confessionali e in una dimensione che supera i confini dei continenti.
Il fondatore di Taizé, Roger Schutz, era nato nel 1915 in un paesino delle montagne svizzere. Figlio di un pastore riformato, e a sua volta studente di teologia, sente il desiderio di una vita di comunità, per condividere la fede con altri. All’inizio della seconda guerra mondiale, alla ricerca di un luogo in cui iniziare tale esperienza e vivere allo stesso tempo al cuore delle tensioni del momento, si insedia nel villaggio di Taizé (nel sud della Borgogna), a pochi chilometri dalla linea di demarcazione che separa la Francia libera da quella occupata dai tedeschi: vive in solitudine, accogliendo profughi, soprattutto ebrei. Nel 1944 lo raggiungono tre amici, desiderosi di condividere la sua ricerca, la sua preghiera, il suo lavoro: nasce così la comunità di Taizé. Frère Roger ricorderà più tardi: Nella vocazione della nostra comunità, ci sono sempre state due aspirazioni: camminare in una vita interiore attraverso la preghiera, e assumere delle responsabilità per rendere la terra più abitabile. L’una non può stare senza l’altra”. A questi due poli della vita spirituale e della solidarietà con tutti gli uomini, che orientano tuttora la vita di Taizé, si aggiunge anche la passione ecumenica, il desiderio impellente del superamento delle divisioni fra cristiani, in vista di una riconciliazione fra tutti gli uomini.

Per i numerosissimi giovani che soggiornano a Taizé, la comunità anima durante tutto l’anno incontri settimanali sulle sorgenti della fede, e più in generale sulle tematiche spirituali della ricerca di senso, della preghiera e dell’impegno concreto. È durante il periodo estivo di massimo afflusso a questi raduni, il 16 agosto 2005, che è scomparso il fondatore di Taizé, pugnalato a morte da una ragazza psicolabile nel corso della preghiera della sera nella chiesa della comunità. Molti osservatori hanno letto la sua morte violenta come il segno concreto di una vita offerta, vulnerabile perché aperta agli altri senza riserve.

Nei suoi scritti, frère Roger non cercavano mai di raggiungere una sorta di sistematicità, né di imporre norme, ma sempre di condividere un’esperienza spirituale, in modo breve e spesso poetico. Perché frère Roger non era un ideologo, ma possedeva un modo ben preciso di guardare alla realtà: possiamo chiamarla la sua visione universale.

Il priore di Taizé desiderava sempre capire gli altri, invece di giudicarli. Un atteggiamento di assoluta benevolenza che risale a un’esperienza fatta in giovinezza: “Mi chiedevo: esiste una via sulla nostra terra, per giungere a capire tutto dell’altro? Un giorno di cui ricordo la data, in un luogo che potrei descrivere, colorato dalla luce filtrata d’una sera di fine estate, mentre le ombre scendevano sulla campagna, accadde che presi una decisione. Mi dissi: se quella via esiste, comincia da te stesso e impegnati, proprio tu, a capire tutto di ogni uomo. Quel giorno ebbi la convinzione che la decisione presa sarebbe rimasta valida fino alla morte. Si trattava, in verità, di ritornare, e ritornare ancora per tutta la vita, a quella decisione: cercare di capire tutti piuttosto che di essere capito”. Frère Roger era convinto che il Dio della Bibbia, il Dio di Gesù Cristo, non esclude nessuno dal suo amore; con Gesù una sorgente di vita veramente universale è entrata nella storia umana. Tale consapevolezza spingeva frère Roger a un atteggiamento mai esclusivo, ma di ascolto rivolto a tutte le persone e a ogni Chiesa, un atteggiamento “inclusivo” che si concretizzava a Taizé attraverso l’accoglienza di tutti.

Quando frère Roger definiva la comunità di Taizé, la presentava sovente come una “parabola di comunione”: come la comunità non ha il suo fine in se stessa, ma rinvia sempre a una realtà di comunione più grande, così la testimonianza di frère Roger non può limitarsi a un discorso teorico, ma si esprime in una storia vissuta, aperta a ben altre realizzazioni. La vita di comunione di frère Roger non è dunque una vicenda compiuta in se stessa, ma molto di più una parabola, un invito rivolto ai cristiani tutti, a cercare di impegnarsi a loro volta per aprire varchi alla speranza e alla fiducia e a creare le condizioni per la riconciliazione tra persone e tra comunità ecclesiali separate.

Se, di fronte alle sfide del mondo contemporaneo, le divisioni della Chiesa “appaiono davvero come tempeste in un bicchier d’acqua”, ogni Chiesa e ogni cristiano devono sempre essere disposti ad aprirsi agli altri, in modo da allargare la comunione a tutti gli esseri umani. Ha scritto frère Roger: “Quando la Chiesa ascolta, guarisce, riconcilia, diviene ciò che di più luminoso essa è: il limpido riflesso di un amore”.

(Matthias Wirz, monaco di Bose, rivista SE VUOI