Guardando il cielo

di don Alessandro Omizzolo, astronomo della Specola Vaticana

Da sempre il cielo è immagine di tante cose: l’immenso e l’immenso, l’ignoto e l’ignoto, la domanda, la curiosità, la meraviglia, lo stupore, la paura, lo smarrimento. Tutti i grandi sentimenti che ci distinguono come persone e che evocano chi siamo noi umani, li possiamo rintracciare ogni volta che alziamo la testa e guardiamo il cielo sia di giorno come di notte. Di giorno è l’esperienza della LUCE e dei colori che facciamo guardando il cielo (quanti modi di dire si rifanno a questa esperienza e al suo variare con le stagioni e con le ore del giorno). Di notte facciamo l’esperienza del BUIO e di piccole luci che non riescono a farci vedere i colori della terra ma ci fanno intuire che anche il cielo è a colori: nessun monocromatismo, tutto è colore come la vita del resto. E se il giorno è il tempo giusto per scoprire le cose del nostro mondo, la notte invece è il tempo per scoprire e indagare le cose del mondo sopra di noi, vicino o lontano che sia.

Appena varchiamo la soglia che dalla Terra ci immette nello spazio (e la soglia è l’atmosfera) scopriamo il vuoto, l’assenza di aria e scopriamo che lo spazio è un luogo inospitale per noi umani se non ci dotiamo di adeguate protezioni: stando là fuori ci accorgiamo di quanto siamo fortunati ad avere una casa quaggiù, protetti e custoditi dalla nostra atmosfera!

Andare nello spazio è come viaggiare per terra: dalle nostre città ci inoltriamo verso le periferie dove l’abitato si fa sempre più rado fino ad arrivare in aperta campagna, fino a quando non ci avviciniamo alla città più vicina. L’equivalente in cielo potrebbe essere il nostro sistema solare: con il Sole che è il centro città e i pianeti che sono i vari quartieri. Le città si raggruppano in regioni e le regioni in nazioni. Qualcosa di simile capita anche in cielo.

Le stelle si muovono ma spesso lo fanno in gruppo e insieme. Stelle singole e gruppi di stelle, si uniscono a formare una “nazione” che in astronomia si chiama galassia, un insieme solitamente di circa 100 miliardi di stelle, tenute assieme dalla gravità a formare un sistema che si muove nello spazio. La nostra “nazione” spaziale si chiama via Lattea e ospita circa 200 miliardi di stelle e chissà quanti pianeti e, oltre ai pianeti, nubi di polvere e gas dove nuove stelle si formano a partire dai materiali prodotti dalla morte di stelle più vecchie. Ogni galassia è un posto vivo che brulica di cambiamenti, uno dei quali è importante notare: perché nascano nuove stelle devono morire quelle vecchie. “Il grano di frumento caduto per terra rimane solo ma se muore dà molto frutto” (Gv 12,24) …e pare proprio che in cielo le cose funzionino così!

Dunque solo guardando la via Lattea scopriamo che in cielo si vive, ci si muove continuamente, si muore e si rinasce: somiglia molto alla vita umana! Lo stare insieme è un’altra caratteristica delle stelle: le stelle formano le galassie, ma anche le galassie (e ne conosciamo miliardi) sembrano preferire la compagnia. Se una galassia è una enorme famiglia di stelle, le galassie tra di loro formano famiglie di galassie, quindi famiglie di famiglie di stelle e si chiamano ammassi di galassie.

Noi non riusciamo a percepire tutto ciò, perché le distanze tra stella e stella dentro a una galassia e le distanze tra galassie negli ammassi di galassie e le distanze tra gli ammassi di galassie sono così grandi che la nostra mente non riesce a immaginarle. Per questo a indicare quanto le stelle o le galassie distano da noi usiamo una strana unità di misura ossia: la distanza che la luce percorre viaggiando alla velocità di 300 mila chilometri al secondo.

Un esempio ci aiuta a capire ciò che questo significa. Un raggio di luce emesso dal Sole per arrivare sulla Terra impiega 8 minuti. Un identico raggio di luce per partire dalla galassia di Andromeda e arrivare da noi impiega 2.5 milioni di anni!

Con i moderni telescopi riusciamo a spingerci a distanze ancora maggiori fino a 13 miliardi di anni luce quando l’universo aveva poche centinaia di milioni di anni; un satellite è riuscito a cogliere un segnale ancora più vecchio, ossia di quando l’universo aveva un’età di solo 300 mila anni: praticamente poco più che neonato. Così è possibile ricostruire la storia del nostro universo fin quasi a quando era di una piccolezza inimmaginabile.

Andando indietro nello spazio e nel tempo arriveremo mai a quando tutto è iniziato? La fisica attuale ci dice di no, ossia che quando l’universo era più piccolo di una certa dimensione e più giovane di una certa età non lo possiamo più studiare. Resta dunque una sorta di velo che la scienza non ci consente di sollevare, ma anche se ci riuscissimo questo non basterebbe per dire che siamo arrivati all’istante iniziale che potrebbe anche non esserci mai stato.

Arrivati a questi livelli le domande si fanno più ardite e più profonde e riguardano approcci diversi alla conoscenza dell’universo. La scienza forse ci dirà come è iniziato l’universo, ma non ci potrà mai dire perché l’universo esiste anziché non esserci. Per rispondere a questa domanda ossia al “perché” invece che al “come” bisogna ricorrere ad altre discipline come la filosofia e la teologia.

Dante ci suggerisce un’altra causa e un altro “perché” quando concludendo la sua Commedia parla dell’ “amor che move il Sole e l’altre stelle”!

Studiare il cielo genera così una doppia meraviglia: la bellezza delle leggi della natura che regolano il “come dell’universo”, e la bellezza in sé dell’universo che si lascia contemplare da noi piccoli esseri umani e ci fa respirare in grande. Siamo piccolissimi davvero, ma nei pochi centimetri cubi del nostro cervello riusciamo a farci stare l’intero universo: meraviglia delle meraviglie! E vi pare che questo non sia abbastanza per fare entrare nel nostro vocabolario quotidiano la parola “grazie”, che esprime che nulla ci è dovuto e tutto ci è gratuitamente donato!

(in SE VUOI 6/2018)