Tutti alla “SCUOLA di RADICI”

di Bianca Maisano (missionaria Scalabriniana)

Sono nata nella nebbia lombarda, in pieno inverno, e nella mia famiglia ho sempre sperimentato la concretezza dell’amore. Un Vangelo visibile in filigrana nei gesti, nelle attenzioni, nel sacrificio. Testimoniato nel quotidiano più che proclamato. Negli anni in cui sono cresciuta l’emigrazione degli italiani era una esperienza viva ma vissuta e sofferta in silenzio. I primi segni di rinascita dopo la guerra, e poi l’entusiasmo del boom economico degli anni ‘60, invitavano a girare pagina sul passato e ad affacciarsi ad un futuro gravido di speranza. Si coprivano le ferite assaporando il gusto di un nuovo sviluppo. La prima volta che ho sentito parlare di emigrazione è stato alle scuole medie. L’insegnante di lettere era siciliana e parlava con passione della sua terra, e dello sfruttamento dei minatori, spesso ragazzini, nelle solfatare siciliane dell’Ottocento. Capivamo così le cause della successiva emigrazione di tanti siciliani, per disperazione e miseria, già dai primi anni del secolo scorso.
Mio nonno Sante era di Portopalo, vicino a Capo Passero, il punto più a sud della Sicilia. Primo di undici fratelli era partito anche lui da casa, diretto verso il nord Italia. Arrivò a Lodi, la mia città natale, dove incontrò la nonna Bianca. Anche in casa nostra, però, l’emigrazione non era raccontata. La intuivamo in alcuni piatti di cucina mediterranea preparati con amore, negli sguardi verso il mare del nonno o dietro ai suoi silenzi durante la malattia. Mi accorgevo sempre più che un filo di sangue legava anche me a queste storie di migranti… rinforzato dalla curiosità di sollevare la garza che copriva queste ferite. Vangelo testimoniato nella vita quotidiana, emigrazione, ferite da curare. Chi avrebbe mai immaginato che sarebbero stati proprio questi semi, gettati nella terra della mia storia, a germogliare, suggerendomi lo studio della Medicina e, quasi in simultanea, il “sì” a seguire Gesù insieme alle Missionarie Secolari Scalabriniane?

È grazie al dono di questa vocazione che ora mi trovo, da poco più di un anno, in Vietnam dove ho la possibilità di vivere nuovamente la sfida di essere migrante. Prima di questo invio in Asia e dopo la formazione iniziale in Germania nella SCUOLA DI RADICI, la mia vita missionaria ha avuto una prima tappa in Cile e poi una lunga immersione, più di vent’anni, nella vita vivace, movimentata e multiculturale di Roma. Radici? Perché una scuola di formazione per chi vuole condividere la vita di chi è costretto a vivere con le radici strappate si chiama proprio così? Ogni pianta per vivere ha bisogno di radici. E anche ogni vita umana è piantata in una famiglia, una storia, un ambiente culturale… e quando si è costretti a partire? Una “Scuola di radici” serve proprio per IMPARARE DAI MIGRANTI l’arte del trapianto delle radici. Sono loro maestri nel ricominciare, nell’adattarsi ad un terreno nuovo, nell’immaginare, con fantasia, nuove opportunità di vita. Muoversi in una nuova terra sprigiona un’energia creativa sorprendente e, anche dal punto di vista della genetica umana, estremamente sana e necessaria. Oggi si difende, almeno a parole, la biodiversità di specie animali e vegetali che arricchiscono di bellezza il volto della creazione. Una bellezza che risplende ancor di più nella biodiversità delle infinite combinazioni dei tratti umani.

«Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente, portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti, emigra l’uomo, …strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraverso catastrofi, verso la meta ultima, che è il perfezionamento dell’uomo sulla terra e la gloria di Dio ne’ cieli».

Così si esprimeva il vescovo Scalabrini nel 1899, davanti all’esodo in massa degli italiani verso le Americhe, proponendo una visione dell’emigrazione che rivela oggi la sua impressionante attualità. O vediamo il migrante dentro al cammino dell’umanità, addirittura strumento della creatività della Provvidenza di Dio perché gli uomini si incontrino e si apprezzino nelle loro diversità, o finiremo per scannarci e alla fine estinguerci rinchiusi nelle nostre piccole isole di uguali. Nella Scuola di radici tutto questo non si impara teoricamente, ma provando a vivere come migranti tra i migranti. Imparando nuove lingue, scoprendo i valori disseminati in ogni cultura. E anche sperimentando, in piccole comunità internazionali, la condivisione della vita, il servizio e l’amore reciproco. La nostra storia personale è sempre e comunque un capolavoro unico che prende forma giorno per giorno. Soprattutto si costruisce grazie alle relazioni con gli altri.
Le relazioni sono il tesoro più prezioso che ci è regalato ogni giorno per scoprire il nostro apporto unico e insostituibile alla bellezza di questa nostra umanità in cammino. È questo ciò che ho sperimentato nel mio impegno come medico nel Poliambulatorio della Caritas alla Stazione Termini di Roma dove, da oltre trent’anni, i migranti e i rifugiati di ogni paese del mondo vengono per lasciarsi curare le ferite, visibili e invisibili. Ho imparato, nell’incontro con loro, a capovolgere i miei pensieri, a lasciare le rive sicure della mia professione per scoprire il loro vero volto: nuovi fratelli di una famiglia senza confini. Qui molti giovani hanno scoperto il tesoro nascosto nella possibilità di mettersi in ginocchio davanti all’umanità che abita in ciascuno.
A qualsiasi storia o cultura appartenga. Scalabrini nella sua preghiera “In ginocchio davanti al mondo” chiedeva ogni giorno una sola grazia: potergli fare del bene.
Ogni migrante incontrato mi ha regalato questa grazia donandomi la certezza che solo chi sa rischiare tutto trova la vera vita, la vera patria. Un nuovo paese in cui si diventa, anzi ci si scopre fratelli.

(SE VUOI 3/2019)