COMMENTO AL VANGELO SECONDO LUCA 13,1-9
Un Gesù che crede nell’uomo
Il Vangelo di questa terza domenica di Quaresima ci fa incontrare un Gesù che crede smisuratamente nell’uomo. Sì: Gesù è talmente appassionato dell’uomo da confidare in lui ben oltre l’evidenza, senza pretendere dimostrazioni convincenti che sostengano quella fiducia. Gesù non cerca motivazioni altre: il suo sguardo è su ciascuno di noi così com’è, lì dov’è, nella sua unicità. E restituisce vita. Tutto questo trova il suo centro nell’invito accorato alla conversione.
Il racconto di questo brano prende le mosse da pezzetti di storia concreta: sono riferiti a Gesù degli esempi di “castigo” di due gruppi di persone, i quali, secondo la Legge, così soccombendo avrebbero scontato il loro peccato. Ma la lettura di Gesù di questi fatti di cronaca si rivela profondamente nuova: partendo da puntuali situazioni di morte, il Signore della Vita genera vita, ricostruisce, rinsalda. È la sua vocazione, e non può, non vuole essere altrimenti: vita. Ed ecco che ci esorta a fare un passo in più, a uscire fuori dalle logiche consolidate: a trasformare il nostro sguardo, a convertirlo (da “volgere con”, quindi trasformare). La punizione – come la morte – per Dio, che è prima di tutto Padre misericordioso, non è la parola definitiva. Gesù per primo, infatti, prende posizione,e chiede anche a noi di fare lo stesso. Sceglie di indicare quegli episodi di punizione come segni eloquenti e interpellanti, che non devono chiudere o intimorire, ma invitare a valorizzare il tempo che viviamo: come quegli uomini, anche per noi è oggi, qui e ora, che possiamo coinvolgerci(quindi lasciarci trasformare) dall’Amore che salva. È un’autentica necessità per Gesù: desidera profondamente che ci lasciamo salvare.
Ma in che senso Gesù crede nell’uomo? E in che modo gli dona fiducia? Ecco introdotta la parabola del fico sterile. Ci viene raccontato di un albero a cui è stata data la vita, ma che non dà frutto. È stato piantato da qualcuno che ha riposto in lui grandi attese, eppure la realtà (quella scorta da uno sguardo non-trasformato) dice altro: il fico non ha prodotto, quindi merita di essere abbattuto. È la richiesta fatta al vignaiolo. Quest’ultimo, però, incalcolabilmente, sceglie di andare oltre, di confermare la sua fedeltà alla storia del fico, di quel fico unico e irripetibile, proprio nella sua notte più buia: gli dona altro tempo per portare frutto. Lo sguardo del vignaiolo è veramente trasformato e trasformante. E il tempo che desidera donare al fico è tempo di qualità: «[…] finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime». Il vignaiolo, dunque, vuole restituire vita al fico nel più concreto dei modi possibili: prendendosene cura. Si fa carico della sua sterilità, benedice proprio quella, e, di nuovo, scommette su di lui.
Come il vignaiolo, Gesù oggi fa lo stesso con ciascuno di noi: crede nella nostra storia; non la carica di attese, ma la sua gioia è proprio nell’attesa, paziente e appassionata, dei nostri sguardi trasformati. E questo cambia la vita!
(Melania Condò 23 anni)