Ri-conoscenza: la libertà di una scelta da domandare sempre 

di Melania Condò (universitaria a Pisa)

Eucaristìa (o eucarestìa) s. f.
[dal lat. tardo eucharistĭa, gr. eccles. εὐχαριστία, propr. «riconoscenza, rendimento di grazie»,
der. di χάρις «grazia»]

       In questo tempo così complesso, l’emergenza sanitaria – meglio, per quanto più scomodo: il bene comune – ci ha imposto il digiuno eucaristico. Mentre tanti e diversi detrattori – pur sempre uomini! – hanno avvertito il bisogno di pronunciarsi immediatamente sulla liceità delle celebrazioni private, io sento un grande vuoto. Un vuoto difficile da definire, perché mai provato prima, ma probabilmente così riassumibile: mi manca il segno cardine della mia amicizia col Signore Gesù. E mi manca intimamente, essenzialmente, direi.

Come me, tanti amici sentono questa mancanza. Se lascio parlare la “pancia”, dico (e ho detto abbondantemente): “Mi fa arrabbiare che i religiosi possano vivere l’eucarestia e noi no”. Ma, mentre dico questo, sento che la pancia non basta. La pancia è umana; ma sola non basta, non dice il senso di quel segno fondamentale. Perché la mia umanità, nella storia concreta, non è rimasta solo “pancia”: è stata incontrata, nella mia storia personale, dal Signore della vita, e il Suo incontro ha attivato il cuore. E allora ho chiesto la grazia di poter ascoltare, in questa minima riflessione sul digiuno eucaristico, il cuore. “Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita” (Libro dei Proverbi 4,23): da figli di Dio, non siamo forse chiamati anche a questo? Benedetto sia, allora, questo tempo, che attraverso rinunce essenziali ci ricorda che la chiamata di Dio non è solo o non tanto domani, ma oggi, qui… nella libertà di una scelta: desidero, Signore, essere ancora capace di riconoscenza? Oso chiederti davvero questa grazia?
Il cuore, allora, se mi sforzo di custodirlo semplicemente ascoltandolo, mi suggerisce qualcos’altro: posso indignarmi, dispiacermi profondamente, e tutto questo è umano (siamo anche pancia, e Dio ama e incontra a partire da lì); ma posso anche, umilmente, chiedere al buon Dio di rendermi ri-conoscente, cioè di tornare al cuore del segno eucaristico che tanto mi manca. È, forse, proprio qui che sta il cuore del sacramento: se si esaurisce in se stesso, se non esce e non apre il suo mistero dentro la vita concreta, in che modo mi incontra profondamente?
      “Ri-conoscenza, rendimento di grazie”, derivato da “grazia”: è l’etimologia della parola ‘eucaristia’. Ecco il cuore del senso. Ecco perché scopro che, in fondo, anche il mio cuore, nel desiderare questo dono mai scontato della riconoscenza, gioisce intimamente: perché altri fratelli e sorelle in questo tempo portano al Signore anche un pezzetto di me, sull’altare della ri-conoscenza. E, se sono privilegiati, sono – e si sentono fattivamente – anche umilmente responsabili del dono. Si nutrono del Signore Gesù: e forse non nasce, dal loro nutrirsi del Pane della Vita, vita nuova per tutti e per ciascuno? 

Questo non rimpiazza né risarcisce il mio digiuno eucaristico:
ma mi ricorda che tutto, tutto, è dono del Suo Amore. 

…Mentre scrivo queste righe, la vita concreta (è sempre, autenticamente, inspiegabilmente così eloquente, la vita) mi fa l’ennesimo regalo, che mi mostra, segno – evidentemente – non sacramentale, ma ordinariamente santo, che quanto Tu suggerisci al mio cuore è verità vissuta. Questo il regalo: la mia coinquilina ieri sera ha impastato il pane. Stamattina lo ha infornato, e ora il suo profumo mi chiama verso la cucina. E, ancora una volta, Tu, nella vita, mi chiami a spezzare e mangiare con i fratelli un pane che non mi sono meritata, un pane che un altro ha preparato per me.
E, di nuovo, tutto è dono del Tuo Amore.

Rendimi, Signore, ri-conoscente. Donami di gustare quanto la comunione in Te dona nella vita. E ringraziamo, sempre, di più di quanto facciamo. Rimaniamo nella grazia: è una libertà che ci è sempre possibile domandare!