Santità: la tua impronta unica nella storia

di don Guglielmo Cazzulani

Quando una famiglia reca il proprio bambino in chiesa per ricevere il battesimo, qualche volta narro, un po’ storpiandola, un’antica leggenda ebraica. 

Pare che nel giorno della nascita, nessun bambino voglia abbandonare il cielo per scendere sulla terra: perché mai dovrebbe accettare di lasciare un posto così felice per trasferirsi in un luogo dove esistono l’odio, il dolore, la malattia, la guerra? Allora gli angeli insistono con lui, più o meno come fanno le mamme con i figli che agitano capricci, e uno di essi sussurra all’orecchio del nascituro per quale ragione deve venire al mondo. Lui si dispera ancora un pochino, per un po’ strilla, ma poi si rassegna. Il vagito dei neonati è l’ultimo grido di protesta che innalziamo, quando siamo costretti a vivere in un posto che non abbiamo scelto, e che magari non ci piace proprio del tutto. Per un bambino è così traumatico nascere che l’angelo della dimenticanza si avvicina alla sua culla e con un dito gli sigilla le labbra, intimandogli il silenzio. Quella scanalatura tra naso e labbro che tutti portiamo è l’impronta del dito dell’angelo che ci ha confidato il segreto: la ragione per cui siamo stati creati, ragione che noi da adulti non riusciamo a ricordare, e che tenteremo di scoprire vivendo un giorno alla volta. 

Credo che ogni vocazione sia una faccenda del genere. Ognuno di noi ha un motivo per cui è stato creato, solo che non lo sa, e il dramma della vita di tutti consiste nel cercare di scoprirlo. Non si tratta di fare progetti, quanto di eseguire-compiere una missione. 

Qualche volta mi è capitato di ascoltare una confidenza del genere: “Forse Dio mi ha creato perché io fossi qui in questo momento, a voler bene a questa persona, e tutto ciò che ho vissuto – gli anni di studio, i momenti di preghiera, le serate di introspezione – funzionano da materiale d’imballaggio: polistirolo che si pigia negli scatoloni che devono far viaggiare qualche merce importante, perché non si frantumi”. 
Chi si sposa, chi diventa mamma, chi si fa prete, chi sceglie di insegnare… non capisce subito la sua vocazione: all’inizio è solo una gran confusione. È dopo, spesso in un momento in cui il cammino si fa difficile, che si scopre all’improvviso perché Dio ci ha voluti in questo mondo.
È ciò che spiego qualche volta a qualche adolescente o a qualche giovane che ha fretta di capire tutto subito. Non si può: il mistero per cui Dio ci ha creati affiora poco per volta, come le vecchie foto che si sviluppavano nella bacinella. Bisogna avere pazienza. Bisogna farsi venire la pelle dura, coltivare la perseveranza, certi solo di camminare su una strada di bene. Prima o poi l’illuminazione arriverà.
Dio ci vuole santi tutti quanti alla nostra maniera. Quando nasce un uomo e quando nasce un cristiano si produce un miracolo in questo mondo, un unicum che non verrà mai più replicato. L’unica cosa certa degli uomini è che sono originali: diversi gli uni dagli altri. Dio è un artista che utilizza tutta la tavolozza dei colori, nella sua infinita possibilità di combinazioni.

Nell’ultima esortazione post sinodale “Christus vivit”, Papa Francesco ha una suggestione interessantissima: Diventare santo vuol dire diventare più pienamente te stesso, quello che Dio ha voluto sognare e creare, non una fotocopia. La tua vita dev’essere uno stimolo profetico, che sia d’ispirazione ad altri, che lasci un’impronta in questo mondo, quell’impronta unica che solo tu potrai lasciare. Invece, se copi, priverai questa terra, e anche il cielo, di ciò che nessun altro potrà offrire al tuo posto”. (n. 162)

La vita allora è un dono che si trasforma in compito. Per che cosa ha senso vivere, quali valori meritano la mia libertà? Sono domande vecchie quanto il mondo, che rimbalzano nella vita di tutti, e che si affacciano implacabili nel cuore di ognuno. Per che cosa devo vivere, io? Tutte domande che rimangono aperte. Però nelle sere d’incertezza val la pena strofinare il dito sotto il naso, controllare la scanalatura: anche se l’angelo della dimenticanza ci ha cancellato il ricordo, c’è sicuramente un buon motivo per cui Dio ci ha creati, e ha voluto che diventassimo santi quaggiù.