SQUID GAME

         Un “gioco” da ragazzi

 

       

        Generi: Coreano, Thriller TV, Drammi TV
        Cast: Lee Jung-jae, Park hae-soo, Wi ha-jun
        Caratteristiche: Suspence
        Anno: 2021/ 1ª stagione
        Qualità generale: ♦ ♦ ♦ ◊ ◊

 

 

 

“Tutti i presenti parteciperanno a sei giochi diversi in sei giorni. Chi li vincerà tutti e sei riceverà un ricco premio in contanti. […] Tutti voi in questa stanza vivete al limite, schiacciati dai debiti che non potete ripagare. […] Volete tornare alle vostre vite schifose, a farvi inseguire dai creditori o volete cogliere l’ultima occasione che vi stiamo offrendo?”.

Inizia così la corsa al montepremi di Squid Game, la serie che ha scalato le classifiche Netflix negli ultimi mesi, nata da un’idea del regista Hwang Dong-hyuk. La storia apparentemente è semplice: attraverso dei giochi per bambini, 456 persone in tuta verde gareggiano per guadagnare il denaro contenuto in un salvadanaio gigante a forma di maiale, che si riempie dopo ogni partita, e aleggia luccicante sulle loro teste, proprio come una divinità. Il dio danaro è infatti il focus della storia. I personaggi non hanno letteralmente nulla da perdere, se non la vita, e sono disposti a tutto, anche ad ammazzare pur di ottenere il premio tanto agognato, che risolverà tutti i loro problemi. Dettaglio non trascurabile, svelato solo durante la prima gara, è l’eliminazione, che consiste nell’assassinio di chi perde. I giocatori entrano ed escono dai campi di gioco attraverso un labirinto che sembra un dipinto di Escher e a vigilare il tutto ci sono degli uomini con maschere e costumi rossi, addetti a raccogliere i corpi dei concorrenti, riponendo gli eliminati in cofanetti decorati come scatole regalo.

Le tematiche sono forti e attuali, la spettacolarizzazione della violenza diventa il pretesto per interrogarsi sulla natura umana e sugli istinti che la dominano. La fotografia crea quasi disagio negli spettatori, le scenografie infatti hanno sempre colori sgargianti, in contrasto con le scene di violenza inaudita e gratuita. Musica e colpi di scena concorrono ad accrescere suspence e tensione. Solidarietà ed empatia viaggiano di pari passo con ostilità e repulsione, emozioni discordanti generate nel corso dei nove episodi, mentre sbirciamo la vita e la personalità dei vari personaggi. Le domande al termine della visione sono numerose, alcune senza risposta, come quella rivolta da un “Perché ad alcune persone è stata data una forma semplice da ritagliare e ad altri difficile?”, che è un po’ come dire “perché alcuni sono più fortunati di altri?”. Una risposta non esiste, se non dettata da casualità e contingenze, perché nel mondo il gap tra ricchezza e povertà è ancora troppo vasto.

La legge silente che regola le azioni all’interno di questo death game è “Mors tua, vita mea”, in quanto la morte di un giocatore rappresenta una possibilità in più di vincere e di vivere per un altro. E, se da un lato la filosofia ci ha insegnato che l’uomo è un animale sociale, dall’altro sappiamo anche che spesso “l’uomo è un lupo per l’uomo”, come diceva Hobbes. Il protagonista, Seong Gi-hun, ci dice forse qualcosa in più, già dal suo numero, il 456: che gli ultimi, che i più sfortunati, che coloro che in qualche modo hanno un barlume di bene dentro di loro in qualche modo trionferanno sul male alla fine. Seong Gi-hun infatti cerca sempre di aiutare chi è in difficoltà, avendo compassione per il numero 001, l’anziano col tumore al cervello, bistrattato da tutti, anche se, per sopravvivere alla fine sarà costretto a ingannarlo. Il numero 456 ha fiducia nel genere umano e lo dimostra ancora tornato nel mondo reale.

Ma chi c’è dietro questo gioco e qual è lo scopo per cui è stato creato?

In Squid Game tutti hanno stessi diritti e pari opportunità, nessuno può essere privilegiato, come spiega il Frontman, il capo delle guardie. L’ideatore del gioco – si scopre nell’ultimo episodio – è uno dei partecipanti rimasto in vita, troppo ricco e annoiato per guardare soltanto. Dietro le telecamere accese costantemente sui giocatori, ci sono infatti i cosiddetti VIP, uomini attempati e milionari, che scommettono su chi sarà il vincitore, divertendosi ad assistere a una guerra tra poveri all’ultimo sangue.
Sembra che l’unico motivo alla base del gioco sia proprio la noia.
Quando non si ha più nulla da comprare e da fare perché si ha tutto, cosa resta? Sarà stata questa la domanda alla quale i VIP non hanno trovato risposta, se non nella contemplazione di una brutalità spietata. Un horror vacui che per prima cosa elimina i connotati delle persone, dando loro dei numeri e delle tute, come nei campi di concentramento.
Privare qualcuno del nome significa infatti privarlo di un’identità costruita nel tempo e strapparlo alle persone che ama, …perché loro ci chiamano per nome.

(Roberta Ciccarelli, rivista SE VUOI 1/2022)