“Non posso trovà FUORI
quello che me manca DENTRO

 

 

 

 

 

Anno di uscita: 2021
Stagioni: 1 (6×16-22′)
Piattaforma o rete dove si può vedere ora: Netflix
Genere: animazione
Qualità generale: ♦♦♦♦♦

 

 

 

“E allora noi anda­vamo lenti perché pensavamo che la vita funzionasse così: che bastava strappare lungo i bordi piano piano, seguire la linea tratteggiata di ciò a cui eravamo destinati, e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere… perché c’ave­vamo diciassette anni e tutto er tempo der mondo… come Achille e ‘a Tar­taruga”.

Così viene spiegato il ti­tolo della serie “Strap­pare lungo i bordi”: i giovani immaginano forse così il proprio futuro, lo vedono in lontananza, non nitido ma deli­neato, e non hanno fretta, e poi c’è la genera­zione di Michele Rech, in arte Zerocalcare, che invece ricorda e cono­sce quella sensazione e sa come finisce la gara per Achille.

Il tratto grafico del fu­mettista romano è in­confondibile, come la sua ironia, il linguaggio gergale e dialettale – che alcuni amano e altri ne sono infastiditi – e il suo impegno politico mai ostentato.
Rebibbia, il suo quartiere, fa da sfondo alle vi­cende umane dei personaggi autobiografici. I protagonisti sono in­fatti lo stesso Zero, con i suoi amici d’infanzia, Secco e Sara, e Alice, co­nosciuta durante l’ado­lescenza.
La voce dei personaggi è quella dello stesso ar­tista, eccetto quella dell’Armadillo, doppiato da Valerio Mastrandrea.
Le molteplici tematiche spaziano dal senso di responsabilità o di inadeguatezza provato da bambino di fronte alla delusione della mae­stra, alle piccole nevrosi e paranoie che ci accompagnano quotidia­namente, legate magari a traumi o eventi che ci hanno segnato, fino all’amore e al senso civico.
Gli amici sono come una coperta di Linus e in­sieme all’Armadillo, che rappresenta la sua co­scienza, cercano di far riflettere Zerocalcare, mostrandogli un altro punto di vista e mettendo in luce criticità, stereotipi e cliché.

“Ma ‘n te rendi conto de quanto è bello? Che non porti er peso der mondo su ‘e spalle, che sei sol­tanto un filo d’erba in un prato. Nun te senti più leggero?”. Sono le parole di Sara che consolano un giovanissimo amico, parole che gli ripeterà poi da adulto. Da que­sto fumettista impariamo lezioni di vita, mascherate con sarcasmo e ironia, che fanno sla­lom tra una feroce bat­taglia al politically correct e analisi psicologi­che alla portata di tutti. Ritroviamo diverse cita­zioni e riferimenti a ci­nema e letteratura con cui cerca di educare i ra­gazzi cui dà ripetizioni. L’universalità del lin­guaggio e dei messaggi appartiene a questa serie e ai suoi innume­revoli libri, tutti editi da Bao publishing.

Zerocalcare è una sco­perta per alcuni – sebbene fosse già stato girato un film per Netflix tratto dalla sua prima opera “La profezia dell’Armadillo” – e una con­ferma per altri, che lo seguono dai tempi del blog targato Wired.

La serie è articolata in soli sei episodi della du­rata di 20 minuti circa, una sorta di climax emotivo ascendente, che raggiunge l’apice a undici minuti dalla fine, quando un Calcare attanagliato da dubbi, domande e sensi di colpa, in un vortice di egocentrismo, viene frenato da Sara, che lo sveglia da un tor­pore bulimico. Siamo di fronte a una catarsi da tragedia greca: nel mas­simo della tensione i personaggi, che fino a quel momento avevano tutti la voce di Michele Rech (Zerocalcare), entrano fi­nalmente in possesso della propria, come se fosse stato risolto un mistero, rimuovendo un velo che aleggiava sulla coscienza del protago­nista e forse anche sulla nostra.

Il topico del viaggio, al­legoria ancestrale, ac­compagnato dalla colonna sonora di Gian­cane, si concretizza in un treno diretto a Biella, che termina sulle note di The funeral dei Band of Horses. La trama, che fa da sfondo alle varie vicende raccontate con diversi flashback, narra la particolare amicizia tra Alice e il protagoni­sta, che culmina in una presa di coscienza tar­diva di sentimenti ed emozioni, un po’ amara forse ma sincera.
E se qualcuno ci chie­desse che forma hanno le vite delle persone, potremmo rispondere quella di ognuno di noi, che a nostro modo, cer­chiamo di ritagliare dritto lungo i bordi e che a volte deviamo, come quando da bambini co­loravamo fuori dai mar­gini.

(Roberta Ciccarelli, rivista SE VUOI 3/2022)