The Good Place

La “nostra” parte buona

 

The Good Place è una serie televisiva fantasy statunitense creata da Michael Schur e trasmessa dal settembre 2016 al gennaio 2020 su NBC e Netflix. La prima a entrare in scena è Eleanor Shellstrop (Kristen Bell), una donna che si risveglia nell’aldilà e incontra Michael (Ted Danson), architetto dell’utopia selettiva simile al Paradiso. Eleanor si rende conto di essere stata mandata lì per sbaglio e di dover nascondere il suo comportamento moralmente imperfetto, così chiede aiuto a Chidi Anagonye (William Jackson Harper), docente di etica all’università, nonché sua anima gemella nella vita ultraterrena. Anche un altro residente non merita di essere lì, Jason Mendoza (Manny Jacinto), che per sfuggire alla parte cattiva si fingerà un monaco buddhista votato al silenzio, e con i suoi modi grossolani ma genuini non convolerà – come previsto in quel fantomatico “Paradiso” – con la sua metà Tahani AlJamil (Jameela Jamil), bensì conquisterà il cuore di Janet (D’Arcy Carden), una versione umana di Google, alla quale rivolgersi per conoscere qualunque informazione sull’universo. Ciò che muove le vicende di questi personaggi è la lotta perenne per restare nella parte buona. Una serie di colpi di scena animerà le varie stagioni, condite con tutti i vizi, le debolezze e le nefandezze umane, come razzismo, egoismo e parolacce che, filtrate dal codice morale dell’aldilà, generano espressioni ironiche. Attraverso, poi, l’uso del flashback conosciamo la loro natura più intima. Vera protagonista della serie è però la filosofia, intesa come dottrina che guida gli esseri umani verso la conoscenza di se stessi e del mondo, che può avvenire solo attraverso il confronto con gli altri e grazie a quell’arte maieutica socratica necessaria per estrapolare la nostra essenza più profonda. Il vero messaggio della serie si evince proprio dalle parole dell’architetto del finto Paradiso, Michael, che tenta di salvare le sue cavie umane: “Le persone migliorano quando ricevono dagli altri sostegno e amore”. Ancora una volta c’è la relazione al centro: dialogo e condivisione sono infatti lo sprone per migliorare: “tutti possono essere riabilitati” e trasformarsi nella loro parte buona, nella versione migliore di se stessi.

The Good Place è anche un inno agli interrogativi. Come ogni forma di insegnamento e forse di arte che si rispetti, l’obiettivo non è trovare risposte, ma porsi delle domande. Il senso della vita non è forse nel cammino che percorriamo? Non un percorso lineare, con un inizio e una fine, quanto piuttosto una spirale, fatta di passi avanti ma anche indietro, di conquiste e di obiettivi raggiunti, di ripensamenti, di errori. Pertanto, anche lo smistamento delle anime può davvero ridursi a una somma delle azioni compiute in vita? Il giudizio divino potrà essere così drastico e dividere l’umanità in “buoni o cattivi”? Queste le domande velatamente poste dal regista, alle quali qualcuno ha già risposto: san Giovanni della Croce ricorda che al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore. In venti minuti, la durata media di un episodio, sono concentrati spunti di riflessione, quesiti, scambi sagaci e irriverenti e forse, celato in qualche battuta di spirito, anche il senso della vita. Un umorismo tipicamente americano aleggia sulle quattro stagioni della Serie, come quello degli sceneggiatori de I Simpson che, al termine di una puntata, fanno pronunciare a Dio stesso la frase che svelerebbe il significato della vita, interrotta però dalla sigla finale. Sarà però la morte a mettere i protagonisti di fronte alla ricerca di uno scopo, di un fine ultimo. Lungi dall’essere una serie sentimentale, di romantico ha solo lo sturm und drang (lo sconvolgimento e l’impeto del momento) e il titanismo, che hanno paradossalmente o fortunatamente una fine perché, in fondo, abbiamo bisogno di concludere, di mettere un punto e non ripetere in eterno le stesse azioni, come un Truman Show. Sintetizzando i contenuti della serie completa, si potrebbe trovare una chiave di volta nelle scelte, perché gli ignavi (chi per paura non fa scelte e non si assume responsabilità) sono i primi a essere puniti, anche nell’Inferno di Dante. Infatti Chidi ed Eleanor ci insegnano che non tutte le domande hanno una risposta, ma la risposta è contenuta certamente nell’amore, che ci rende vivi e ci permette di desiderare (dal latino de = mancanza e sidus = stella), di avvertire la mancanza delle stelle, di “puntare alle stelle”.

(Roberta Ciccarelli, rivista SE VUOI 3/2021)