Spezzare le catene delle nuove schiavitù

di Eugenia Bonetti

La tratta delle persone è un crimine contro l’umanità. Dobbiamo unire le forze per liberare le vittime e fermare questo crimine sempre più aggressivo, che minaccia le singole persone, e i valori fondanti della società… oltre il tessuto familiare e lo stesso vivere sociale”. (Papa Francesco)

La tratta di esseri umani coinvolge molte categorie di persone e per scopi di versi quali: il lavoro, il traffico di organi , i bambini soldato, le adozioni clandestine, l’accattonaggio ed altro ancora che producono forme di sfruttamento e di schiavitù. Una di queste forme, considerata la più comune ed altrettanto umiliante è la tratta di donne e minori per sfruttamento sessuale che produce un fatturato annuo di oltre 32 miliardi di dollari e coinvolge circa 27 milioni di persone.

Nessuna nazione è esente da questa terribile schiavitù giacché la “merce umana” viene transitata dai trafficanti a partire dai Paesi di origine, transito e destinazione con la complicità di agenti ed agenzie avide di guadagno. Simbolo di ogni schiavitù è e rimane sempre la catena: strumento che toglie alla persona libertà di azione per sottometterla al volere di un’altra. E come la catena è formata da molti anelli, così è la catena di queste nuove schiave del ventunesimo secolo. Gli anelli hanno dei nomi e sono quelli delle vittime e della loro povertà, degli sfruttatori con i loro ingenti guadagni, dei clienti con le loro frustrazioni, della società con la sua opulenza e carenza di valori, dei governi con i loro sistemi di corruzione e di connivenze, della Chiesa e ogni cristiano, noi pure inclusi, con il nostro silenzio e l’indifferenza. Quante volte Papa Francesco ha parlato della globalizzazione dell’indifferenza

La sfida di una società multietnica

Diceva il profeta Isaia: «Per digiuno io intendo un’altra cosa: rompere le catene dell’ingiustizia, rimuovere ogni peso che opprime gli uomini, rendere la libertà agli oppressi e spezzare ogni legame che li schiaccia. Digiunare significa dividere il pane con chi ha fame, aprire la casa ai poveri senza tetto, dare un vestito a chi non ne ha, senza abbandonare il proprio simile». (Isaia 58, 6-7)

Questi versetti sono di grandissima attualità e continuano a interpellarci ancora oggi, perché esprimono un profondo desiderio di giustizia sociale, di uguaglianza e di libertà. La Chiesa per prima deve continuare ad ascoltare e a rispondere a questo grido. Altrimenti come può proclamare a migliaia di donne che vivono e lavorano sulle nostre strade in condizioni vergognose, che anche loro fanno parte di quei “privilegiati” che hanno pieno diritto alla liberazione e che ci precederanno nel regno dei cieli? (Matteo 21,31-32).

Ci vuole maggior coraggio nel prendere una posizione chiara contro le moderne schiavitù. Il silenzio della Chiesa (e non solo) può essere giudicato come una mancanza di preoccupazione, ma anche come una forma di complicità. Occorre invece riappropriarsi del nostro ruolo profetico: denunciare, correggere, guidare, promuovere la giustizia e l’uguaglianza per tutti gli esseri umani, compresi i profughi che bussano alle nostre porte e chiedono accoglienza. Con Papa Francesco anche noi potremo affermare: “Non più schiavi, ma fratelli”.

(articolo pubblicato in SE VUOI 1/2016)