Stili di vita: è possibile cambiare modo di vivere?

 

Sembrava che la nostra vita fosse regolata da ritmi immutabili, che fosse definita da regole, da tempi e da spazi non soggetti a modifiche. E invece, nel giro di pochi mesi, ci siamo ritrovati spiazzati, spaesati, obbligati da un virus invisibile a cambiare le nostre abitudini, a rivoluzionare i nostri progetti, a impostare diversamente le nostre relazioni umane. Le reazioni a questo radicale cambiamento sono state molto diverse. A differenza degli altri animali, l’essere umano non ha un corredo genetico che lo induca a fronteggiare le situazioni impreviste in modo automatico. In questo senso, rispetto ad essi è svantaggiato. Quando la nave affonda i topi sanno per istinto cosa fare – scappare –, mentre i marinai si trovano a dover prendere delle decisioni e spesso, nel farlo, non sono d’accordo. È il risvolto problematico della nostra libertà. Il fatto di non essere guidati da riflessi condizionati ci rende capaci di orientare la nostra vita senza dipendere meccanicamente dai fattori esterni. Non potremo certo fare come se non esistessero: la libertà è sempre limitata. Ma in qualunque situazione c’è sempre almeno un piccolo margine di scelta. Il prezzo da pagare è l’indecisione, la paura di sbagliare. Ma ne vale la pena.
 Il modo di reagire di fronte alle misure sanitarie è molto diverso. Ci sono perfino i negazionisti, che tendono a infischiarsene o comunque a ritenerle esagerate.

Il virus ci sta costringendo a rivedere il nostro rapporto col tempo, con lo spazio, con le persone, con le cose. Questo tempo di pandemia ha profondamente inciso sullo stile non solo della vita in famiglia, ma di tutti i rapporti umani.  In molti, la diffusione del contagio ha determinato un atteggiamento di paura e di diffidenza, rafforzando una tendenza individualista già ampiamente diffusa prima del virus. Per altri, invece, la pandemia è stata un’occasione per scoprire insospettate risorse di generosità. Soprattutto nell’ambito delle professioni sanitarie, ma anche in quello dei servizi – le cassiere dei supermercati – ci sono state persone che hanno preso coscienza del ruolo insostituibile che avevano nella vita degli altri e lo hanno abbracciato come una missione. Più in generale, il pericolo del contagio ha evidenziato la responsabilità che ognuno ha verso chi gli sta vicino. Ci sono stati molti giovani che hanno rinunziato a frequentare il pub del sabato sera per non mettere a rischio i loro nonni. Come ci sono stati gli incoscienti che sono andati lo stesso e li hanno fatti ammalare. Anche il rapporto con le cose è cambiato. Una società che ha incentrato la sua economia sul consumismo soffre pesantemente delle limitazioni dovute al coronavirus. I centri commerciali erano diventati i nuovi santuari dove le famiglie si recavano in pellegrinaggio, la domenica, come un tempo andavano nelle cattedrali. Per molti la rinunzia a cercare oggetti da acquistare e possedere è la caduta in un vuoto esistenziale. Ma ci sono anche coloro che, proprio attraverso questo vuoto, sono indotti a scoprire che l’essere è più dell’avere e che vi sono semplici gioie elementari di cui la frenesia del consumo, con la logica perversa dell’usa e getta, ci aveva fatto dimenticare il gusto. Per queste persone la sobrietà a cui la pandemia ci ha costretto non è una perdita, ma un modo nuovo di entrare in relazione con gli oggetti, che consente di apprezzarne il valore in funzione dei nostri reali bisogni, invece che delle illusorie promesse della pubblicità. Ancora una volta, è il segno che noi, a differenza dei topi, possiamo fare scelte diverse.

(Giuseppe Savagnone, rivista SE VUOI 1/2021)