Se questo è un uomo

Postfazione di Cesare Segre

Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenore di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli. Perciò questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull’inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano. A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico…” (dalla Prefazione scritta dallo stesso Autore)

Questo libro, leggiamo nella interessante e approfondita postfazione, ha ambizioni ben più alte che quella di contribuire alla letteratura sui campi di annientamento. L’ Autore dichiara nella Prefazione che intende fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano. Nello stesso tempo denuncia le conseguenze di ogni concezione xenofoba. Quando essa diventa un “sistema di pensiero”, “quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager”. Riconosce infine il bisogno di “liberazione” interiore, conseguenza di un “impulso immediato e violento” a raccontare la propria esperienza. Dunque, quattro scopi: 1. documentare un’esperienza estrema; 2. mostrare, anche per poterle prevenire, le peggiori conseguenze della xenofobia; 3. meditare sul comportamento umano in condizioni eccezionali; 4. raccontare per liberarsi dell’ossessione.

“I giorni si somigliano tutti e non è facile contarli. Da non so quanti giorni facciamo la spola, a coppie, dalla ferrovia al magazzino: un centinaio di metri di suolo in disgelo. Avanti sotto il carico, indietro colle braccia pendenti lungo i fianchi, senza parlare.
Intorno, tutto ci è nemico. Sopra di noi, si rincorrono le nuvole maligne, per separarci dal sole; da ogni parte ci stringe lo squallore del ferro in travaglio. I suoi confini non li abbiamo mai visti, ma sentiamo, tutto intorno, la presenza cattiva del filo spinato che ci segrega dal mondo. E sulle impalcature, sui treni in manovra, nelle strade, negli scavi, negli uffici, uomini e uomini, schiavi e padroni, i padroni schiavi essi stessi; la paura muove gli uni e l’odio gli altri, ogni altra forza tace. Tutti ci sono nemici o rivali.”

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