CARLO ACUTIS – Non io, ma Dio!
a cura di Laura Cenci e Federica Cammarata
“È vero che il mondo digitale può esporti al rischio di chiuderti in te stesso, dell’isolamento o del piacere vuoto. Ma non dimenticare che ci sono giovani che anche in questi ambiti sono creativi e a volte geniali. È il caso del giovane venerabile Carlo Acutis” (CV 104). Parola di Papa Francesco. E così il Pontefice offre ai giovani come modello di santità un quindicenne, nato nel 1991 e morto nel 2006 per una leucemia fulminante… uno che “non è caduto nella trappola!” (CV 106).
Un adolescente con tanti amici e tante passioni: lo studio, lo sport, il volontariato con i clochard e nelle mense dei poveri, l’attività di catechista, la passione per i videogiochi e per l’informatica. Un giovane con una vita normale, che aveva scoperto un grande amico: Gesù. Questo incontro ha segnato la sua vita.
Il corpo di Carlo è ad Assisi, nel santuario della spoliazione, dove otto secoli fa un altro giovane (che diventerà san Francesco) si spogliò di tutti i suoi averi per vivere l’unica ricchezza in Gesù.
Di Carlo ci parla la mamma, Antonia Salzano
Carlo è un ragazzo del terzo millennio, ha vissuto quello che un ragazzo vive oggi, gli stessi problemi, le stesse sfide. Era un amante dei computer, dell’informatica, dei mezzi di comunicazione. Aveva però scelto di gestirli e non di farsi gestire. Impiegava un’ora alla settimana per i videogiochi. Si era dato questa regola fin da piccolino, perché si era reso conto che questi mezzi potevano essere qualcosa che lede la libertà della persona e che assorbe tutte le energie e poi non lascia tempo. Carlo diceva che il tempo è dono di Dio e che ogni minuto che passa è un minuto in meno che abbiamo per santificarci. I mezzi di comunicazione possono diventare infatti come delle piovre e rendere schiavi. Possono gettare ingenui nella pornografia, nel cyberbullismo, nella dipendenza al plauso degli altri. Se non si mette Dio al centro della propria vita si diventa vulnerabili anche in queste cose. Mettere Dio al primo posto nella vita significa rispondere alla nostra vera natura: che è fatta per amare e godere Dio già in questa vita. Se noi non riusciamo a fare questo siamo dei falliti, diceva Carlo, siamo omuncoli. Carlo mi ha insegnato che se non metto Dio al primo posto nella mia vita metto l’io. Diceva: «La santità non è un processo di aggiunta ma di sottrazione. Meno “io” per lasciare spazio a Dio. La grande battaglia è con noi stessi. Che giova all’uomo vincere mille battaglie se non è capace di vincere se stesso con le proprie corrotte passioni?».
Che cosa, oggi, Carlo ci può insegnare? Egli utilizzava i mezzi di comunicazione per il Bene: ha fatto la Mostra sui Miracoli eucaristici, su Maria, Mostre catechistiche, passando ore la notte per lavorare. Lui non rinunciava, il suo zelo apostolico per Dio e far amare Dio lo portava ad annullare tutto perché voleva che la gente capisse l’importanza dei sacramenti. Dava una grande importanza alla salvezza dei fratelli.
Da parte sua voleva fare, innanzitutto, il catechista. Questa è la sua prima vocazione vera. Da questa nasce la Mostra sul Miracolo eucaristico. Fin da giovanetto faceva l’aiutocatechista. Poi si poneva domande sul futuro. Poco tempo prima di morire, eravamo al mare a trovare i nonni, mi chiese: «Mamma, secondo te, mi devo fare sacerdote?». Intuii che c’era qualcosa nella sua testa che si stava muovendo. Alla nonna aveva fatto la stessa domanda. Questo mi fa pensare che dentro di lui si stesse definendo l’idea di una consacrazione. Sicuramente in lui c’era una grande vena apostolica. Carlo era molto portato per l’evangelizzazione. Un inserviente di casa, che era delle Mauritius, si è convertito e battezzato grazie all’esempio di Carlo. In vita ha pregato e ottenuto la conversione di molte persone.
Carlo portava Gesù agli altri, senza imporsi. Aveva quella sapienza che gli dava il Signore, di simpatia e di delicatezza che sapeva quando era il momento giusto o sbagliato.
Una delle cose più belle che colpiva la gente è il fatto che quando salutava le persone per strada salutava tutti, dalle persone più umili a quelle più ricche. Non faceva distinzioni. Si era fatto molti amici nel quartiere, molti erano portinai stranieri. Il modo in cui lui approcciava queste persone dava l’impressione ad ognuno di essere una persona importante. Applicava i consigli evangelici: ciò che avete fatto a lui, l’avete fatto a me. Per lui ogni persona era speciale, vedeva in ognuno il volto di Cristo.
Diceva Carlo: «Un semplice ‘ciao’ può essere una freccia di carità verso il cuore».
Auguro a tutti i giovani di conoscere Carlo e di sentirlo amico; un amico che con la sua vita sa indicare che la gioia più grande e il centro di tutto è in Dio. Qui è racchiuso il segreto di una vita felice e piena!
(SE VUOI 1/2020)
Alcune frasi di Carlo Acutis
«La tristezza è lo sguardo
rivolto verso se stessi,
la felicità è lo sguardo
rivolto verso Dio»
«L’Eucaristia è
la mia autostrada
per il Cielo»
«Tutti nascono originali
ma molti muoiono come fotocopie»
«Siamo più fortunati noi
delle folle di duemila anni fa,
perché loro per incontrare Gesù
dovevano andarlo
a cercare nei villaggi
mentre noi possiamo scendere
nella Chiesa sotto casa
e trovarlo realmente
presente nell’Eucaristia»
«Essere sempre unito a Gesù,
ecco il mio programma di vita.
Sono contento di morire
perché ho vissuto la mia vita
senza sciupare neanche un minuto
in cose che
non piacciono a Dio»