Chiamante e chiamati
Dio è anche «Colui che chiama» (Gal 5,8).
E la parola , con la quale chiama, non è debole, impotente e vuota; è potente, carica di grazia, accompagnata da doni; «la parola , che esce dalla mia bocca – ha detto il Signore – non tornerà a me senza effetto, ma anzi opererà quanto piace a me e otterrà lo scopo per cui l’ho mandata» (Is. 55,11); è come la pioggia e la nel, che, discese dal cielo, irrigano la terra, la fecondano e fanno germogliare (Is. 55,10).
Piena di forza, ma non sforza, la parola, e lascia liberi di rispondere. Ecco, perché «molti sono chiamati e pochi eletti» (Mt. 22,14: ecco, perché è stata raccontata la parabola dei talenti (Mt. 55,14-30); sì, ci sono dei meravigliosi doni di Dio, ma occorre la fedeltà ai doni; ci sono delle ricchezze offerte, ma occorre prenderle e lavorare perché siano sfruttate fino in fondo.
Dio chiama tutti ad essere salvi, a vivere una vita misteriosa e meravigliosa; chiama alcuni a essere «lavoratori con Dio» (1Cor. 3,9), capi spirituali, più responsabili di altri, più impegnati nella testimonianza: una volta questi chiamati furono i patriarchi, i giudici, i re, i profeti d’Israele; oggi sono i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le suore della Chiesa, l’Israele nuovo.
I modi in cui chiama? Differentissimi. Samuele è fanciullo e sacrestanello nel santuario di Silo, quando ascolta la chiamata notturna, insistente e quasi ossessiva. Abramo è già spinto ai viaggi verso l’Ovest dalle necessità della vita nomade; la voce di Dio si aggiunge e fa capire che all’Ovest c’è tutto un destino che aspetta. Davide è il più giovane dei fratelli: a meraviglia di tutti, Dio «lo trasse dall’andar dietro alle pecore lattanti a reggere il suo popolo» (Salmo 78,71); i profeti Geremia ed Ezechiele, invece appartengono già a famiglia sacerdotale. A Geremia il Signore dice. «Ho pensato a te prima ancora di formarti nel ventre materno… ti ho destinato profeta per le nazioni» (Ger. 1,5). Il profeta Amos, insultato un giorno da Amasia falso sacerdote, risponde: «Io non ero né figlio di profeta, ero semplicemente pecoraio e pungitore di sicomori, ma è stato il Signore a strapparmi al mio gregge, è lui che mi ha dato questo comando: “Va’ e profetizza in Israele, al mio popolo”» (Amos 7,14-15).
Qualche volta la chiamata si esprime attraverso visioni straordinarie. A Mosè Dio comunica la missione dalle fiamme di un roveto ardente (Es. 3,1-22)). Isaia, stando nel Tempio, vede il Signore assiso in trono, vede i Serafini e ode una domanda: «Chi potrò io inviare?» e risponde subito: «Eccomi, Signore, inviami pure!» (Is. 6,1-8). Geremia a 19 anni, ha un dialogo famoso con Dio (Ger. 1,4-10), mentre Ezechiele ha in esilio, a trent’anni, la celebre visione di Dio seduto su un trono in mezzo ad animali strani, e ruote gigantesche, e nubi e folgori di uragano (Ezech. 2,3-ss). S. Paolo è chiamato sulla via di damasco dal Signore che gli appare resuscitato (Atti 9,22-26 e Gal. 1,13). Questi sono casi eccezionali; il più delle volte però la chiamata di Dio avviene nell’intimo del cuore e viene percepita là dove Dio è più presente a noi che noi stessi.
E quale la sorte dei chiamati?
Celso, un Voltaire dei tempi antichi, si scandalizzava che gli Apostoli avessero lasciato casa, parenti, mestiere per seguire Cristo. Ma S. Girolamo gli rispondeva: Niente scandalo! Agiscono, nel caso, fulgor et maiestas Divinitatis occultae! Cioè: il fulgore e la maestà della divinità nascosta, che tuttavia in qualche modo traluceva negli occhi e nel volto di Cristo!
Quel volto, quegli occhi hanno ancora la potenza e il fascino di una volta ed operano non solo al momento della chiamata, ma anche dopo, quando sopravvengono per il chiamato gli insuccessi dell’apostolato, la monotonia, la noia, la nostalgia.
«Misero me – gemeva Geremia in uno di questi momenti critici – ti, Signore, mi sei qual torrente che delude le speranze del viandante assetato!» «Sii fedele e costante, gli rispondeva Dio, ed io ti renderò il tuo posto presso di me… sari come la mia bocca cioè mio interprete e portavoce… e ti libererò dalle branche dei prepotenti» (Ger. 15,10; 18,21).
Paolo, stando in prigione con acciacchi e difficoltà gravi, guardava specialmente alle mani non vuote di Cristo e scriveva nel suo testamento: «Ho combattuto la buona battaglia, sono giunto al termine della mia corsa… mi sta preparata la corona… che mi darà in premio il Signore!» (2 Tim. 4,7-ss).
La chiamata, gli occhi, le mani di Cristo! Essi soli spiegano il perché molti sono andati, hanno perseverato e sono stati felici di essere andati e di aver perseverato!
Vittorio Veneto, 2 maggio 1965.
Albino Luciani, vescovo
(Mostra delle Vocazioni, 18-26 settembre 1965)