Giulio Rocca

Giovane martire della carità

Parlare e ricordare Giulio, la sua morte, vuol dire ogni volta scavare e riportare in superficie i nostri primi anni di vita in missione come OPERAZIONE MATO GROSSO. Il movimento è nato dopo il 1968, da una proposta fatta ad alcuni ragazzi di Arese da parte del sale­siano Ugo De Censi. Ragazzi che erano un po’ demotivati nel loro impegno di catechisti e aspiravano a qualcosa di più entusiasmante.
P. Ugo si lasciò commuo­vere da un suo amico, padre Pedro Melesi, rientrato per alcuni mesi dal Brasile che si sentiva stanco e deluso nel suo im­pegno verso i più poveri. P. Ugo lanciò, allora, ai suoi ragazzi catechisti la proposta di partire per la missione con l’intento di costruire una scuola nella parrocchia di p. Pedro: fu come lanciare un fiammifero acceso dentro un pagliaio… Per questi ra­gazzi fu un’esperienza totalizzante e alcuni gio­vani decisero di fermarsi in Brasile per un periodo più lungo, altri si impegnarono a lavorare qui in Italia per raccogliere fondi e cominciarono a riu­nirsi in piccoli gruppi. Poco a poco il movimento si ingrandì, le missioni in Brasile aumentarono di numero, fino a diffondersi anche in Ecuador, Perù e Bolivia.

Giulio Rocca conobbe il gruppo che lavorava nella sua valle (Valdidentro – SO) e fece una prima esperienza di missione per 4 mesi in Brasile. L’ in­contro con la miseria e la povertà assoluta della gente lo rese inquieto e nacque nel suo cuore il desiderio di dare una svolta radicale alla sua vita. Decise di ripartire per la missione per un tempo più lungo. Andò in Perù e lì conobbe per­sonalmente P. Ugo De Censi, fondatore del mo­vimento. Fu affascinato da questo salesiano to­talmente dedicato alla povera gente e ai ragazzi che aveva accolto nelle sue scuole. Giulio prestò il suo servizio nella parrocchia di Jangas, si occupava di fare le compere per le varie missioni, cercava di rispondere alle richieste della povera gente, sem­pre col sorriso e con la battuta pronta. Dietro il suo fare allegro, Giulio sen­tiva la necessità di donare la sua vita senza mezze misure, ma aveva paura. Durante un ritiro spirituale fatto con il P. Ugo, confessò in pubblico il suo tor­mento interiore e il bisogno che sen­tiva di prendere una decisione radicale per la sua vita. Tornato dal ritiro, pre­parò una lettera per P. Ugo e per il Ve­scovo dicendo che sentiva il bisogno di mettere la sua vita nelle loro mani, e che avrebbe preso la decisione di entrare in seminario. Una settimana dopo, un gruppo di terroristi rivo­luzionari del “Sendero luminoso” entrarono nella parrocchia di Jangas armati. Giulio cercò di cal­mare la situazione difendendo l’operato dei sa­cerdoti e dei volontari. La situazione però precipitò e i terroristi vollero portare via Giulio.
…Nessuno ha mai saputo dove lo avevano por­tato e cosa gli avevano chiesto…
Fu trovato la mattina dopo, a pochi km dalla par­rocchia, morto, con una pallottola in testa.
Era il 1 ottobre 1992.
Nel taschino della camicia vi trovarono un biglietto macchiato di sangue, in cui aveva scritto da un lato la lista delle compere da fare per la missione, dall’al­tro il nome di Gesù (“JESUS”).
Questo fatto rimase in noi tutti e nella gente povera che lo aveva conosciuto e stimato, come la sua “ere­dità”.

Ogni anno, ancora oggi, nella Valdidentro, si radu­nano tanti ragazzi nella settimana in cui si ricorda l’anniversario della sua morte per lavorare per le mis­sioni e per meditare sulla sua vita, soprattutto sul sangue versato per difendere i poveri che aveva cercato di amare. L’anniversario cade il 1° ottobre, giorno in cui si ricorda Santa Teresa di Gesù Bambino, protettrice dei missionari.

Dai suoi scritti

«C’è proprio bisogno di tanto entusiasmo per di­struggere questo mondo che va male e per costruirci sopra qualcosa di grande e di bello. Lo stesso entu­siasmo che ci porta a dire con forza e con chiarezza il messaggio dell’OMG: “Dare via!”. Dare via, dare ai poveri, aiutare gli altri, dando prima le nostre cose e il nostro tempo, poi sempre di più, fino a dare tutto, ma proprio tutto, fino a darsi completamente. Che vuol dire lasciarsi mettere in Croce».

(Dalla lettera di Giulio Rocca, agosto del 1992, a p. Ernesto Sirani, salesiano)

«A trent’anni mi sembra che nulla abbia maggior valore che seguire Gesù, lo desidero tanto per riem­pire il vuoto che è rimasto in me, buttando via tutto ciò che è inutile. Ho paura che tutto finisca presto e di non aver fatto bene. Non voglio perdermi per sempre. Per questo non mi preoccupa il non avere beni materiali che, alla fine rimangono come un peso che non mi aiuta a camminare verso Dio e verso gli altri. Così il fatto di vivere solo non mi spaventa, anzi lo accetto come condizione indispensabile per poter seguire questo cammino».

(Dalla lettera di Giulio Rocca del 27/9/1992, a Mons. Gurruchaga, vescovo di Huaraz, al quale comunica la sua intenzione di entrare in seminario e per chiedere consiglio)

Le parole del suo Vescovo

«La vita di Giulio, come io l’ho vista e cono­sciuta in Huaraz, è stata un GESTO D’AMORE.
[…] La sua aspirazione finale fu di rispondere a Gesù che lo chiamava insistentemente. Lo guardò, lo amò e Giulio lo percepì. Il tuo Vescovo aveva già pronto il posto nella Diocesi, però…
Chi si deciderà al suo posto? Il posto è vuoto.
È ri­masto il suo gesto. Il suo cuore batte. Vive risuscitato in Dio amore. Giulio, un gesto così vale più di mille parole. Davvero!

(Mons. José Ramòn Gurruchaga, Vescovo di Huaraz)

(Elisa Fazzini, rivista SE VUOI 2/2024)