Luca Attanasio

AMBASCIATORE ITALIANO UCCISO IN CONGO

Per parlare di Luca Attanasio, l’ambasciatore d’Italia nella Repubblica Democratica del Congo assassinato a 43 anni nei pressi di Goma, nel Nord-Kivu, ho ripreso l’articolo che avevo scritto per Famiglia Cristiana, poco dopo che su WhatsApp mi era giunta la notizia. Ero da poco tornato in Italia dopo quasi 10 anni di vita africana. Riprovo le stesse emozioni e lo stesso sconforto. La tragedia era accaduta in una situazione che non sarà mai completamente chiara, verso mezzogiorno del 22 febbraio 2021, con un gruppo di malviventi che assaltarono il convoglio diretto in una zona insicura, con meta un centro di aiuto alimentare. Quel giorno caddero sotto i colpi di arma da fuoco anche il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo.

Luca Attanasio era anzitutto un amico, non solo della comunità italiana e della diplomazia internazionale a Kinshasa. L’avevo conosciuto per le incombenze che un italiano all’estero deve compiere, ma soprattutto per la sua disponibilità a dialogare con tutti.
Aveva iniziato il suo servizio in Congo nel 2017 come incaricato d’affari, con alle spalle studi e carriera brillanti, per appianare le tensioni esistenti tra Congo e Italia. Poi nel 2019 aveva assunto in pieno le sue funzioni. Un ambasciatore porta tutto un Paese nella sua persona e Luca svolgeva questo compito senza gli orpelli del ruolo, mettendo in gioco la sua ricchezza umana, la sua formazione, la sua esperienza. Con piglio giovanile aveva ridato smalto alle attività dell’ambasciata, un po’ in ribasso negli anni precedenti. Insieme a sua moglie era molto attento alle attività sociali e la sua presenza si è fatta subito notare nei centri di promozione sociale, soprattutto quelli gestiti da missionari e missionarie italiani, dove portava il suo aiuto concreto. Luca poi amava radunare conoscenti e collaboratori, italiani e no, attorno alla cultura e alla cucina italiana… Come non essere amici di una persona così?

Rivedo le immagini che mi arrivarono con la velocità tipica dei congolesi nel cogliere momenti drammatici e di sangue – purtroppo ce ne sono in abbondanza in quel loro paese benedetto – una in particolare, con Luca esanime nelle braccia di un soccorritore a bordo di un fuoristrada decappottato. Una “Pietà michelangiolesca” dei nostri tempi, così qualche commentatore l’aveva definita. La corsa all’ospedale di Goma era stata inutile.
Riascolto i messaggi che conservo ancora nel mio cellulare: “Roberto caro, ho avuto l’incarico [di ambasciatore] ma sto aspettando che il presidente mi riceva per le lettere credenziali, dovrebbe essere a giorni o a settimane… Però, grazie!”. La sua voce piena di empatia risuona, la sua disponibilità a rispondere sempre e a tutti…
Rivedo le sue riprese video di un’iniziativa in favore dei bambini di un quartiere di Kinshasa a cui, insieme alla moglie Zakia e alle sue bimbe, dona libri e materiale scolastico, con la collaborazione della libreria Paoline. Commentava Luca con tanti sorrisi emoticon: “Questo ha detto Zakia che ti riguarda!”
Confesso che ho scoperto solo ai funerali tenuti nella sua città, Limbiate, in Lombardia, che la familiarità con il servizio al prossimo faceva parte del suo percorso di fede in parrocchia, all’Oratorio San Giorgio,  dove tornava per rivedere i suoi don e i compagni di tante avventure. Avevo sempre visto Luca Attanasio come un ambasciatore originale, estroverso, disponibile, ma legavo tutti questi atteggiamenti alla carica che ricopriva: un professionista della relazione diplomatica. La morte ha illuminato la sua vita e ne ha fatto un vero testimone.

Una testimonianza mette bene in evidenza ciò che Luca Attanasio poneva al centro della sua vita. Ricevendo il Premio Internazionale Nassiriya per la Pace nel 2020, Luca diceva: “Fare l’ambasciatore è un po’ come una missione: secondo me quando sei un rappresentante delle istituzioni hai il dovere morale di dare l’esempio… È necessario agire per dare loro [ai giovani] un futuro migliore. Cerchiamo, nel nostro piccolo, di ridisegnare il mondo”. Ancora un altro ricordo mi è rimasto impresso. Mi trovavo nell’ambasciata del Sovrano Militare Ordine di Malta, un’organizzazione umanitaria cattolica che agisce come uno Stato dove c’è bisogno. Prima del ricevimento c’era la celebrazione eucaristica. Sono in fondo all’assemblea, all’aperto, nel caldo di Kinshasa. Dietro di me arriva anche l’ambasciatore italiano insieme ai carabinieri. Al momento della comunione Luca lascia la sua scorta e va verso l’altare, per ricevere la comunione. Non è scontato in un ambiente come quello diplomatico mantenere le proprie abitudini cristiane. Ma è lo stesso Luca che, come mi ha raccontato il suo parroco, aveva voluto fortemente il matrimonio con rito misto, rispettando la fede musulmana di sua moglie, ma non venendo meno al suo essere cristiano.
L’ambasciatore Luca Attanasio è ricordato ora in tanti luoghi, in tante circostanze. Anche a Kinshasa gli è stata dedicata una via.
La terra che l’ha strappato alla vita, ce lo consegna come un esempio luminoso.

(Roberto Ponti, rivista SE VUOI 6/2024)