John Henry Newman – Il profeta della coscienza

di Robert Cheaib

Tra gli elogi più lusinghieri di John Henry Newman, primeggia senza dubbio quello di Joseph Ratzinger il quale considera il famoso convertito inglese come il più grande personalista dai tempi di sant’Agostino. Un teologo di spicco del XIX secolo, Erich Przywara, è dello stesso parere. Parlando di Newman arriva ad affermare che è un «Agostino redivivo». Chi era Newman?
John Henry Newman nasce il 21 febbraio 1801, primogenito di 6 figli. Come racconta lui stesso, il giovane viene educato già dall’infanzia a trarre grande piacere dalla lettura della Bibbia, «…ma non ho avuto solide convinzioni religiose sino ai quindici anni».
Il primo evento importante della sua vita è la sua cosiddetta prima conversione. Essa avviene in un periodo particolare. Siamo nell’estate del 1816, l’attività bancaria del papà subisce un brutto declino e John Henry rimane in collegio a Ealing, sia per degenza sia per permettere ai genitori di sbrigare le complicate vicende collegate al fallimento. Durante la permanenza a Ealing, Newman, in preda a dubbi, si confronta con il carismatico clergyman, Walter Mayers, il quale gli fa scoprire quella che verrà chiamata «la religione di coscienza».
Newman acquisisce uno spiccato senso della presenza di Dio che lo accompagnerà per tutta la vita. La forte esperienza gli permette di ancorarsi stabilmente «al pensiero di due, e solo due, esseri assoluti, di un’intrinseca e luminosa evidenza: me stesso e il mio Creatore».
In quel tempo, Newman fa delle letture che lo convincono che la Chiesa cattolica è l’anticristo. Questo pregiudizio ostacolerà a lungo la sua conversione e il suo ingresso nella Chiesa cattolica. Provvidenzialmente, però, scopre anche i Padri della Chiesa i cui scritti saranno per tutta la vita musica per le sue orecchie.
Accolto giovanissimo come fellow/docente al celeberrimo Oriel College di Oxford, Newman instaurerà delle amicizie importanti che lo aiuteranno a superare due ostacoli gravi: quello di diventare un intellettualoide disattento alla vita spirituale; e quello del pregiudizio verso la Chiesa di Roma.
Due di questi amici in particolare – Hurrell Froude e John Keble – avevano simpatie verso la Chiesa di Roma e lo aiuteranno a superare le immaginazioni dell’adolescenza.

Nella sua ricerca di mostrare che la Chiesa anglicana è la vera Chiesa, Newman farà scoperte “indesiderate” che lo porteranno invece ad aderire alla Chiesa cattolica. Il cammino sarà fatto attraverso una guarigione dell’immaginazione, ma anche attraverso un approfondimento intellettuale, perché Newman è convinto che la vera Chiesa deve essere coerente con la Chiesa delle origini.
La fase finale del suo cammino di conversione sarà una specie di ritiro monastico a Littlemore, dove Newman vivrà un intenso periodo di ascesi, studio, preghiera e digiuno e che culminerà con la sua adesione alla Chiesa cattolica nella quale verrà accolto dal missionario Domenico Barberi (ora beato).
La vita cattolica di Newman non sarà facile. I sospetti lo assaliranno sia da parte cattolica che da parte anglicana, ma Newman rimarrà saldo nella sua scelta e aderirà al carisma di san Filippo Neri divenendo il fondatore del primo oratorio in Inghilterra.
Come apologeta, scenderà in campo diverse volte per difendere la fede cattolica, soprattutto per chiarire la devozione cattolica verso la Vergine Maria e i santi, l’onestà morale dei cattolici, il senso dell’infallibilità papale e il primato della coscienza.

John Henry Newman muore l’11 agosto 1890 all’età di 89 anni. Alle sue esequie partecipano 17 vescovi e persino la famiglia reale invia un rappresentante. Tanti giornali scriveranno all’indomani articoli interessanti sul grande uomo che è morto.
Il giornale Freethinker, di taglio prettamente ateo e anticlericale, dedica a Newman delle parole memorabili: «Abbiamo spesso sentito, anche quando abbiamo dissentito da lui con forza, che potevamo baciare la mano che reggeva la penna: “Ecco – dicevamo a noi stessi – uno che è più di un cattolico, più di un teologo; uno che ha vissuto una vita interiore intensa, che capisce il cuore umano come pochi l’hanno capito, che segue i lavori più profondi della mente umana, che aiuta il lettore a capire se stesso, che spalma su ogni pagina il fascino di un carattere sublime e di un vasto intelletto”».

 

Dai suoi scritti

La veglia attiva
«Voi sapete cosa significa attendere un amico, attendere che arrivi e vederlo tardare? Sapete cosa significa essere in compagnia di gente che trovate sgradevole e desiderare che il tempo passi e scocchi l’ora in cui potrete riprendere la vostra libertà? Sapete cosa significa essere nell’ansia per una cosa che potrebbe accadere e non accade; o di essere nell’attesa di qualche evento importante che vi fa battere il cuore quando ve lo ricordano e al quale pensate fin dal momento in cui aprite gli occhi? Sapete cosa significa avere un amico lontano, attendere sue notizie e domandarvi giorno dopo giorno cosa stia facendo in quel momento e se stia bene? Sapete cosa significa vivere per qualcuno che è vicino a voi a tal punto che i vostri occhi seguono i suoi, che leggete nella sua anima, che vedete tutti i mutamenti della sua fisionomia, che prevedete i suoi desideri, che sorridete del suo sorriso e vi rattristate della sua tristezza, che siete abbattuti quando egli è preoccupato e che vi rallegrate per i suoi successi?».
Dopo questa raffica mozzafiato di domande e di immagini evocative, Newman soggiunge: «Vegliare nell’attesa di Cristo è un sentimento che somiglia a questo, per quel tanto che i sentimenti di questo mondo sono in grado di raffigurare quelli dell’altro mondo».
Vegliare con Cristo è un vegliare innamorato che, in definitiva, ci riveste di Cristo: «Veglia con Cristo chi fa memoria e rinnova ancora nella sua persona la croce e l’agonia di Cristo, e riveste con gioia questo mantello di afflizione che il Cristo ha portato quaggiù e ha lasciato dietro a sé quando è salito al cielo». (John H. Newman, La vita cristiana)

So cosa hai fatto per me
«Come è possibile che io non ti ami con tutta l’anima? Non mi hai forse attratto a te e non mi hai scelto forse di mezzo al mondo, per essere tuo servo e figlio? Non ho io forse il dovere di amarti molto più degli altri, sebbene tutti ti debbano amare? Io non so quel che tu hai fatto singolarmente per gli altri, prescindendo s’intende dal fatto che tu sei morto per tutti: so invece quello che hai fatto per me. Tanto tu hai fatto, mio amore, da impegnarmi ad amarti con tutte le forze». 
(John H. Newman, Meditazioni e Preghiere)

(da SE VUOI 6/2019)