Ascoltando la città

intervista a Maria Savignano, architetto

“E tu, cosa fai?”. Con serenità Maria ci racconta:
“Ho studiato architettura e lavoro a Berlino da due anni.  Lo studio in cui lavoro si occupa principalmente della progettazione di scuole, asili e università, ma anche di altri edifici pubblici e per uffici”.

Sembra interessante questo lavoro… a servizio di altri lavori! Con gli occhi che brillano mentre ne parla, Maria ci confida:
“Entrare nel mondo del lavoro e trovare un proprio spazio di espressione richiede diversi tentativi e anche io mi sento ancora alla ricerca del mio. Lavorare nel mondo dell’architettura mi piace moltissimo, soprattutto perché sottintende una ricerca continua. Ogni progetto richiede una ricerca molto specifica ed è impossibile annoiarsi o farci l’abitudine.
Le caratteristiche strutturali/spaziali intorno a cui organizzare il progetto presuppongono sempre un ascolto molto profondo del pezzo di città in cui si inserirà, delle esigenze della comunità che lo userà, una ricerca sui materiali più adatti e più facilmente reperibili oltre che sulla sua sostenibilità e adattabilità!
Sento di aver imparato, fin dall’università, che per fare e studiare di volta in volta l’architettura è necessario tantissimo ascolto e umiltà ed è davvero un esercizio continuo che si raffina ad ogni esperienza.
Un altro elemento fondamentale del lavorare in questo campo è il fatto che ci si ritrova a lavorare sempre in team più o meno grandi. Nel corso del tempo per me questa è diventata una cosa interessantissima. Anche in questo caso esercitare l’apertura e l’ascolto sono le sfide più grandi.
Non è facile, soprattutto all’inizio, capire quanto un’idea possa diventare più bella e ricca quando la si condivide e la si lascia trasformare anche dalla visione degli altri. Si ha sempre paura che gli altri rovinino ‘la tua idea’. Far crescere una visione ed armonizzare tutti i contributi necessari sono, secondo me, le principali prerogative e specificità di questo lavoro”.

Dai racconti di Maria capiamo che la sua professione rappresenta una parte di sé e dice del suo modo di essere.
“Lo sforzo per essere un buon architetto lo associo alla mia vocazione umana e cristiana perché le tentazioni (soprattutto di individualismo ed egocentrismo) sono le stesse che si incontrano quando si cerca di costruire intorno a sé un ambiente armonioso, accogliente e inclusivo. Creare comunità è una delle cose su cui dal punto di vista spirituale lavoro di più e credo sia anche una delle prerogative più belle dell’architettura”.
Grazie Maria!

(Federica Cammarata-Irene Mutta, rivista SE VUOI 4/2022)