Chi è Marianella

Il 14 marzo 1983 viene assassinata, a soli 38 anni, in El Salvador, Marianella García Villas, presidente della Commissione per i diritti umani. Le sue denunce e le sue prese di posizione erano divenute inaccettabili per la giunta militare al potere. Pertanto, come accaduto tre anni prima per monsignor Oscar Romero, con il quale aveva a lungo collaborato per difendere i diritti del proprio popolo, la sua voce viene messa a tacere per sempre.
Marianella García Villas nasce in Salvador il 7 maggio 1944. La sua famiglia fa parte dell’alta borghesia. Viene inviata in Spagna, a Barcellona, dove studia nei collegi più prestigiosi. Tornata in Salvador, si iscrive all’Università, a Legge e Filosofia. Durante tali anni entra a far parte dell’Azione Cattolica Universitaria: è una esperienza fondamentale perché si trova a discutere e analizzare i documenti del Concilio, a leggere i testi della teologia della liberazione, ad approfondire i concetti di “ingiustizia strutturale” e di “scelta preferenziale per i poveri”.
Nel 1974 Marianella viene eletta come deputato al Parlamento nelle file della Democrazia cristiana, ma quando questo partito decide di entrare nella Giunta di governo con i militari, pensando in questo modo di emarginarne le frange più estreme, Marianella lo abbandona, non condividendo tale scelta. Così, in una situazione di sempre più brutale repressione, nell’aprile 1978 si decide di costituire una “Commissione per i diritti umani”, con il compito di coordinare le difese dei prigionieri politici e raccogliere prove sulle sempre più gravi e diffuse violazioni dei diritti umani.
Marianella viene nominata Presidente della Commissione. Nell’ufficio della Commissione è un continuo via vai di persone, che denunciano soprusi e violenze, presentano reclami, chiedono di essere difese, sollecitano ricerche per la scomparsa di familiari e amici. Ogni fine settimana Marianella fa avere a mons. Romero informazioni dettagliate su quanto avvenuto nel Paese: uccisioni, torture, massacri, sparizioni.
Così l’arcivescovo nelle proprie omelie domenicali può denunciare quanto sta accadendo. All’indomani dell’assassinio di mons. Romero, la Commissione salvadoregna per i diritti umani trasferisce la propria attività a Città del Messico, per le continue minacce e violenze di cui era fatta oggetto. Nel febbraio 1983 Marianella è in Salvador per raccogliere prove, da portare poi alla Commissione Onu per i diritti umani, circa l’uso di armi chimiche da parte delle forze armate salvadoregne. Il 13 marzo Marianella viene catturata, brutalmente torturata e infine dilaniata da proiettili esplosivi. Il giorno dopo è riconsegnata cadavere ai propri familiari. Marianella, cittadina di cieli nuovi e di terre nuove, è stata una grande credente e una intransigente democratica, che ha lottato con le armi della politica e del diritto.

le parole di Marianella García Villas

Continuiamo a lottare con la voce e con la penna

Per noi che viviamo quotidianamente le angosce di questa vita,
per noi che sentiamo quotidianamente
sulla nostra pelle, la morte degli altri,
per noi che tocchiamo le ferite,
i segni delle torture sui cadaveri,
per noi che raccogliamo corpi senza testa,
teste senza corpo e le ossa dei nostri fratelli,
per noi che abbiamo fotografato le vittime,
per noi che abbiamo ascoltato i testimoni,
il pianto silenzioso e anonimo
di familiari anonimi di vittime anonime,
tutto questo è un panorama abituale,
parte sostanziale della nostra vita,
sempre appesa al filo del caso.
Tutto questo è la nostra vita quotidiana,
che si riflette nei nostri occhi, che invade il nostro olfatto,
che impregna le nostre mani.
Ma è anche ciò che rafforza e legittima
la nostra azione e la lotta del nostro popolo
per la conquista del diritto alla vita,
a un tetto, a un libro, a un tozzo di pane.
Non ci importa se ci chiamano sovversivi,
traditori della patria;
non ci importano gli arresti e le vessazioni
che abbiamo patito per difendere i prigionieri politici;
non ci importano le distruzioni con le bombe
delle nostre sedi e delle nostre case.
Continuiamo a lottare con la voce e con la penna,
e con il pensiero certo angosciante che possa arrivare la morte.

Il mio non è un caso unico, fuori del comune

«La mia storia è parte della storia di tutto il popolo: posso essere un testimone, ma non un personaggio; il mio non è un caso unico, singolare, fuori del comune.
Quello che è successo a me (si riferisce ad una brutale violenza sessuale subita in una caserma di polizia, ndr) è successo a migliaia e migliaia di uomini e di donne in tutto il Paese: il mio è un caso comune.
Certo, ci sono le particolarità di ogni esperienza e di ogni vita, incidentalmente possiamo aver vissuto momenti peculiari e diversi, ma la sostanza è quella di un cammino che si confonde con quello di tutti.
Proprio questo, del resto, mi ha aiutato a superare il trauma dello scontro con la violenza dei miei carcerieri, l’incubo di ciò che avvenne in quel seminterrato della polizia; perché so che tutte noi donne, che siamo state detenute, abbiamo subìto gli stessi affronti, che questo è uno dei prezzi, che dobbiamo mettere in conto, della nostra resistenza e del nostro lavoro, è uno dei metodi, usati dal nemico, per demoralizzarci, per intimidirci, per distoglierci dalla lotta; ma noi sappiamo che se per il ricatto di simili situazioni ci ritraessimo nella difesa della nostra integrità privata, in una posizione di minor rischio, allora non resterebbe più nessuno nella lotta, perciò siamo decise a continuare.
Perciò dopo quella notte io ripresi il lavoro normalmente, tornai al partito, al tribunale, e anzi con maggiore convinzione».

(a cura di Anselmo Palini, SE VUOI 4/2016)