GIACOMO DI ALFEO
Il fascino nudo del Vangelo
L’APOSTOLO DEGLI ENIGMI
Giacomo di Alfeo è un apostolo misterioso, la cui identità si confonde con quella di figure omonime di spicco della Chiesa delle origini. Da qui alcuni enigmi che per secoli sono rimasti irrisolti, sollevando interrogativi e perplessità sulla sua identità. Proviamo a ripercorrerli insieme.
Primo enigma
Giacomo di Alfeo è uno dei “fratelli” del Signore? L’identificazione sembra suggerita dall’evangelista Marco che presenta, ai piedi della croce, «Maria, madre di Giacomo il minore e di Ioses» (Mc 15,40). Nella lista dei Dodici, però, il nostro Giacomo non viene presentato come «Giacomo il minore», ma come «Giacomo, figlio di Alfeo». Sembra quindi trattarsi di un altro Giacomo, non appartenente alla parentela di Gesù. In altre parole, nei Vangeli noi avremmo a che vedere con tre diversi “Giacomo”: il primo è Giacomo, figlio di Zebedeo, noto come “il maggiore” (tra gli apostoli) e primo martire dei Dodici; il secondo è Giacomo di Alfeo, anche lui apostolo, di cui ci occupiamo in questa sede; il terzo è Giacomo il minore, fratello di Ioses e figlio di una “Maria” che compare ai piedi della croce: quest’ultimo non sarebbe uno dei Dodici e apparterebbe al cerchio dei familiari di Gesù. Gli autori lo hanno sovente identificato con il Giacomo di Gerusalemme, responsabile della comunità dalla partenza di Pietro (verso l’anno 44) fino al martirio avvenuto durante la Pasqua del 62.
Secondo enigma
Giacomo di Alfeo e Giacomo di Gerusalemme sono la medesima persona? Quanto detto sopra fa già intuire la nostra risposta. Giacomo di Gerusalemme non va identificato con Giacomo di Alfeo. La cosa sarebbe confermata da due indizi molto chiari. Il primo è offerto da Paolo in 1Cor 15,7: l’apostolo tiene a distinguere il “Giacomo di Gerusalemme” dai Dodici a cui appartiene invece Giacomo di Alfeo. Il secondo indizio è offerto dalla liturgia antica: fino a oggi le Chiese d’Oriente, custodi di usi liturgici molto antichi, distinguono i tre “Giacomo” – il Maggiore, Giacomo di Alfeo e il vescovo di Gerusalemme (Giacomo il minore) – dedicando a ciascuno di loro una data specifica del calendario per celebrarne la memoria. Il che fa intuire che si tratta di tre persone distinte.
Terzo enigma
Giacomo di Alfeo è l’autore della “Lettera di Giacomo”? Questa domanda è destinata a rimanere aperta, dal momento che non conosciamo nel dettaglio il profilo del figlio di Alfeo: la formazione, le competenze, il lavoro…
La lettera che, per un errore interpretativo, venne definita da Lutero come “una lettera di paglia”, suppone però un autore esperto. Questo predispone a identificarlo con Giacomo di Gerusalemme che la tradizione descrive come una persona cresciuta e formata negli ambienti sacerdotali e con evidenti doti di mediazione e di formazione. Ma non esclude dai possibili autori il nostro Giacomo di Alfeo, anche se la cosa appare poco probabile. Gioca a suo sfavore il fatto di essere una personalità di “secondo piano”, cosa che renderebbe poco vincente l’attribuzione pseudo-epigrafica di uno scritto alla sua figura.
Presentato in questi termini sembra che Giacomo di Alfeo non abbia “motivi di vanto”: non sarebbe fratello del Signore, non sarebbe responsabile della Chiesa madre di Gerusalemme, non sarebbe l’autore della lettera omonima. Che cosa rimane di lui? Rimane l’essenziale. Quello di essere una persona chiamata dal Signore a condividere la forza del Vangelo.
Questo è il vero “motivo di vanto”: in lui la priorità del Vangelo non è offuscata dal suo fare o dai suoi servizi, ma è illuminata dalla semplicità di una sequela totale e decisa. A volte ce ne dimentichiamo: il Signore non ci chiama a lasciare una nostra traccia nella storia, ma a lasciare una sua traccia. Giacomo di Alfeo non ha lasciato nulla di sé: in lui tutto rimanda al Maestro.
FRATELLO DI CHI?
C’è però un’ipotesi intrigante per chi vuole approfondire ancora la vita di questo apostolo: nella lista dei Dodici presentata da Matteo, «Giacomo, figlio di Alfeo», compare subito dopo «Matteo il pubblicano», come se i due avessero qualcosa in comune.
In Mc 2,14 il dettaglio sembra confermato da un altro dettaglio: quando Gesù descrive l’incontro con Levi-Matteo lo presenta così: «Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte». Levi è definito «figlio di Alfeo». Proprio come Giacomo. La domanda sorge spontanea: Giacomo e Levi-Matteo sono forse fratelli? Non sarebbe una novità visto che, nella lista dei Dodici, troviamo altre coppie di fratelli: quella di Simon-Pietro e Andrea, figli di Giovanni; e quella di Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. L’ipotesi, benché non dimostrabile, risulta possibile.
Perché evidenziare la cosa? Perché è bene non lasciarci sfuggire che una delle dimensioni del discepolato è proprio la capacità di confronto, di dialogo, di armonia tra le differenze che si concretizza nell’invito da parte del Signore a partire “a due a due”, mai da soli. Del resto, sono note le differenze che caratterizzano i fratelli: pur avendo le stesse figure educative e lo stesso contesto di crescita, i fratelli hanno spesso differenze sorprendenti tra loro.
Saper accogliere le differenze è il segno più bello di una vocazione. Soprattutto se l’altro è uno come Levi-Matteo. E noi, di chi siamo fratelli?
(Giacomo Perego, rivista SE VUOI 3/2022)