PROVOCAZIONI DI UN APOSTOLO
TOMMASO
Ogni volta che Tommaso prende la parola nel quarto Vangelo è per lanciare una provocazione al Maestro o agli altri apostoli. Le sue sono frecciate che scuotono il percorso dei discepoli.
La fede di Tommaso è un dono in fermento, un cammino costellato di interrogativi, un’esperienza vitale e piena.
Margini di rischio…
La prima “frecciata” viene lanciata in occasione della morte di Lazzaro. La Giudea è ormai diventata per Gesù un terreno minato e nell’aria si respira un’oscura minaccia di morte nei suoi confronti. Questo è un dato di fatto che non riguarda solo il Maestro, ma anche chi lo segue da vicino.
Quando giunge la notizia della MORTE DI LAZZARO, Gesù manifesta la decisione di tornare a Betania.
La paura di quello che sarebbe potuto succedere emerge subito tra i Dodici che, chi in un modo chi nell’altro, cercano di dissuadere il Maestro.
La paura, per di più, si mescola al disappunto. Gesù, infatti, quando era arrivata la notizia che Lazzaro era gravemente ammalato non si era scomposto; ora, invece, che viene a sapere della sua morte, vuole tornare a Betania!
È proprio in questo momento che Tommaso prende la parola, esprimendo, senza giri di parole, quello che tutti pensano: «Andiamo anche noi a morire con lui!» (Giovanni 11,16). Detto in altri termini: “Maestro, con questa tua decisione, ci stai mettendo tutti in pericolo!”.
Gesù non replica alla provocazione: se il discepolato non porta con sé dei margini di rischio, del resto, che discepolato è?
Senso di spaesamento…
La seconda “frecciata” scatta in un momento molto intenso, umanamente e spiritualmente.
Il contesto è quello dell’ULTIMA CENA: la sera degli insegnamenti, del testamento umano di Gesù, del suo dono supremo. Il linguaggio del Maestro si fa denso, le parole pregnanti, la voce carica di emozioni. Gesù parla di una “partenza”, di un “luogo verso il quale sta andando”, di una “via” che i suoi sono chiamati a imboccare.
Tommaso, a un certo punto, interrompe il clima raccolto con una domanda schietta e diretta: «Maestro, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?» (Giovanni 14,5). Tre anni di discepolato non sono bastati per capire dove il Maestro li vuole portare… ed è bene che Lui lo sappia, che Lui ne sia cosciente.
Paradossalmente, le cose sembravano più chiare all’inizio del percorso di sequela. Ora tutto sembra sfuocato, incerto, contorto. Questa volta Gesù risponde e lo fa usando una stupenda definizione: «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Giovanni 14,6).
Non ci sono mete da raggiungere, occorre semplicemente piantare la tenda in Gesù e lasciare che lui diventi il nostro ambiente vitale. Questa è la vera lezione da interiorizzare. E lo spaesamento ne è una conditio sine qua non.
Necessità di toccare…
L’ultima “frecciata” è quella che è nota ai più. La cornice è la “sala alta” del cenacolo, nel clima delle APPARIZIONI DEL RISORTO: gli apostoli sono passati dalla paura all’entusiasmo, dal dubbio alla certezza, dalla freddezza al fuoco della missione. Tutti. Tranne Tommaso!
Basta lui, assente al momento dell’apparizione, per raffreddare gli entusiasmi. Con una sola frase gela gli animi degli altri: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Giovanni 20,25).
Toccare. Un verbo forte, che evoca diverse scene bibliche: quella più lontana nel tempo è la scena del peccato delle origini, quando il verbo aveva permesso al serpente di sedurre Eva: «Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete!”» (Genesi 3,3). In realtà, Dio non aveva proibito di toccare, aveva piuttosto invitato a non mangiare il frutto. Toccare il frutto non sarebbe stato un peccato.
Una scena più vicina a Tommaso è quella che vede coinvolta Maria di Magdala. Stando alla traduzione latina del testo, il Risorto le avrebbe detto Noli me tangere, «Non mi toccare», ma il greco usa un verbo diverso: «Non mi trattenere». Che è altra cosa. Gesù non proibisce di toccare la sua persona, invita piuttosto a non trattenerla.
Toccare il Risorto non è un peccato… ed è proprio quello che Tommaso vuole fare.
In questo Tommaso si fa “Didimo” (gemello) di tutti noi: non si può annunciare una fede di cui non si ha esperienza; non si può lasciar trasparire un annuncio che non ci ha avvolti in ognuno dei nostri sensi; non si può portare una luce senza esserne in qualche modo illuminati.
Caro Tommaso, perdonaci se ci siamo soffermati così tanto sulla tua “incredulità” al punto da dimenticarne i risvolti positivi.
Grazie per averci ricordato che la fede deve mettere in conto dei margini di rischio, non può evitare lo spaesamento e chiede di tradursi nell’esperienza di un Mistero che si lascia udire, vedere e toccare…
(Giacomo Perego, rivista SE VUOI 2/2018)