SIMONE LO ZELOTA

L’apostolo solido come una quercia

Simone è definito “lo zelota” da Luca (sia nel Vangelo sia negli Atti), mentre è definito “il cananeo” da Matteo e da Marco.
In realtà, i due aggettivi non si contraddicono: in ebraico, infatti, la radice qana’ ha a che vedere con lo zelo, la passione, la gelosia.

Sono pieno di zelo per il Signore…

Pensando a Simone, la prima associazione che affiora alla mente è quella di Elia, il profeta di Dio passato alla storia per lo zelo alquanto pronunciato. Quando Dio, sull’Oreb, gli chiede: «Che fai qui Elia?», il tisbita non sembra aver altro da mettere davanti al suo Signore se non il molto zelo che lo abita. Associato, naturalmente, a una lettura della storia in bianco e nero. Basta leggere 1Re 19. E Dio gli insegnerà che lo zelo può essere molto rischioso: vorace come il fuoco, devastante come il terremoto, impetuoso come il vento, lo zelo non sempre è una qualità costruttiva. Meglio mettersi alla scuola del dolce sussurro della Parola.
Mi piace pensare così a Simone lo zelota: un apostolo a cui, un giorno, è stata rivolta quella stessa domanda («Che fai qui Simone?») e che è stato poi plasmato, scavato, trasformato dal sussurro della Parola.
Questa lo avrebbe progressivamente allontanato dall’ideologia che infiammava le rivolte giudaiche a cui inizialmente sembra aver partecipato con militanza e convinzione. Del resto, non è l’unica persona di spicco del Nuovo Testamento a vivere tale esperienza: gli fanno compagnia, tra gli altri, figure come Giacomo, Giovanni, Saulo…

Simone, ho una cosa da dirti!

 Il secondo pensiero mi porta a immaginare Simone come un fariseo doc, particolarmente sensibile alle norme di purità.
Un fariseo con il suo stesso nome viene ritratto al capitolo 7 del Vangelo di Luca, nel contesto di un banchetto a cui Gesù è stato invitato. Simone viene presentato come il capo famiglia.
Tale banchetto deve aver impressionato i discepoli, visto che ritroviamo l’episodio in tutti i Vangeli, anche se con qualche variante. Un tratto che li accomuna è quello che presenta questo fariseo come “il lebbroso”. Come mai? Probabilmente si tratta di una storia vecchia, di una malattia ormai superata, ma che ha lasciato sulla pelle di Simone le sue cicatrici, rendendolo particolarmente sensibile alle norme di purità e visibilmente attento all’osservanza della legge.
Ebbene, in quel giorno particolarissimo, a motivo dell’ospite tanto atteso, nella casa di Simone irrompe niente meno che un secondo ospite per nulla gradito: una donna socialmente connotata (si tratta di una prostituta) e religiosamente esclusa (in quanto impura).
Simone è impietrito. Gesù è tranquillo. Nessuno avrebbe mai pensato che la portata principale del banchetto sarebbe stata proprio quell’incontro.
Quel giorno sembra fissarsi in modo indelebile nel cuore di Simone e l’ossessione per le norme di purità diventa “passione per il Vangelo”. Qualcuno, non a caso, farà di “Simone lo zelota” l’esperto dei banchetti: c’è chi lo identifica con il maestro di tavola delle nozze di Cana, ma soprattutto chi ne sottolinea la disponibilità a prendere posto alla tavola dei pagani di ogni continente: dall’Africa all’Asia, dal Medio Oriente all’Armenia, dalla Britannia all’Egitto.
Per portare a tutti l’amore che sgorga dal Vangelo.

Quel simbolo emblematico

Ogni apostolo, ormai lo abbiamo imparato, viene associato dalla tradizione a un simbolo che, in genere, sta a indicare il martirio subìto. Il simbolo di Simone è una grande sega. Sembra che l’apostolo sia stato prima crocifisso e poi fatto a pezzi con una sega. Si racconta che i suoi carnefici siano rimasti a bocca aperta di fronte alla pacata e ferma resistenza di questa vittima ultracentenaria. In effetti, possiamo pensare a Simone come a una grande e solida quercia che si è lasciata sfrondare della sua maestà da cima a fondo, trasformando il proprio zelo in passione e i pregi del suo legno pesante e durevole in ottima legna da ardere per scaldare la fede di molti.

(Giacomo Perego, rivista SE VUOI 5/2023)