Vieni e vedi!
Filippo di Betsàida
Un sano entusiasmo
L’apostolo Filippo è un entusiasta, uno che si lascia coinvolgere dalla chiamata di Gesù e dall’esperienza di chi lo ha preceduto nella sequela. Per i primi chiamati tutto inizia con un “venite e vedrete”. Filippo usa le stesse parole – che per lui sono state efficaci – per condividere la medesima esperienza con Natanaele e invitarlo dal Maestro: “Vieni e vedi!”. Il suo entusiasmo è sano: non riporta concetti, non distribuisce informazioni, ma condivide una esperienza che lo ha segnato, plasmato, cambiato. Con gioia.
Quando i conti non tornano
La gioia di Filippo sembra farsi particolarmente luminosa quando le persone che seguono il Maestro si moltiplicano, si assiepano, fino a raggiungere numeri inverosimili. L’esperienza di quella giornata sul Lago di Tiberiade narrata al capitolo 6 del vangelo di Giovanni per lui deve essere stata “unica”: una grande folla raccolta attorno a Gesù. E questi decide di pizzicare il suo entusiasmo: “Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” Comprare? Filippo non ci aveva pensato. Condividere significa perdere (materialmente), mettersi in gioco (psicologicamente), attivare le migliori disposizioni per accogliere (umanamente). Fa qualche conto su due piedi, ma i conti non tornano. Tanto. Troppo. Eccessivo. Materialmente si rischia lo spreco, psicologicamente si rischia l’esaurimento, umanamente si rischia di scontentare tutti. L’evangelista commenta la scena sottolineando che Gesù “diceva così per metterlo alla prova”. L’entusiasmo va bene per avviare i motori, ma poi occorre rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco. Non si tratta solo di invitare la gente a venire e a vedere Gesù: la gente deve poter costatare quello che succede anche in chi lo segue, anche nei suoi discepoli.
Quando chi bussa crea un precedente
L’insegnamento di Gesù trova particolare accoglienza in chi vive in contesti marginali, segnati dal confronto con il paganesimo. Il Maestro di Galilea insegna l’arte del dialogo, dell’ascolto, della condivisione libera, dove la Legge è rispettata senza diventare un giogo opprimente. Ed ecco che, a Gerusalemme, nel cuore del giudaismo, qualcuno si fa avanti: “alcuni greci”, dice il testo, cioè alcuni giudei-ellenisti, che vivono lontano dalla città santa e che cercano di vivere un giudaismo capace di dialogare con culture altre. Usano anche loro la parola d’ordine: “Vogliamo vedere Gesù”. Filippo capisce al volo che la richiesta non sarà senza conseguenze: Gesù è considerato come un Maestro dalle posizioni troppo aperte, soprattutto nei confronti del tempio e della legge; accogliere e dialogare con questi “greci” significa non solo aprire gli orizzonti ma anche prestare il fianco a chi lo accusa. Filippo si consulta con Andrea. Non se la sentono di decidere da soli e riportano il tutto a Gesù. Questi coglie nella richiesta dei greci il sopraggiungere dell’ora di Dio. È il tempo della glorificazione, del dono di sé. Sotto tutti i punti di vista. E una voce dal cielo conferma la cosa. Filippo, senza volerlo, ha fatto scattare l’ora del Padre. Ancora una volta la via del “vieni e vedi” si è rivelata più feconda del previsto.
Senza parole
C’è tuttavia un momento, decisivo, in cui quel “vieni e vedi” mette Filippo sotto-sopra. Dopo l’incontro con i greci qualcosa cambia nel rapporto tra il Maestro e i suoi. Gesù comincia a parlare di un viaggio e di una mèta misteriosa che ha a che vedere con il Padre. Fedele alla sua esperienza, Filippo se ne esce con una preghiera trasparente e semplice: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Facci “venire” con te dal Padre, facci “vedere” il Padre. Il “vieni e vedi” di sempre. “da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?”. Filippo resta in silenzio. Si accorge che ha invitato molti, ha accompagnato tanti, ha esortato vicini e lontani “a venire e a vedere” senza aver capito fino in fondo cosa c’era da “vedere” in Gesù e dove conduceva quel “venire” a Gesù.
La reazione del Maestro lo lascia senza parole. Filippo non dirà più nulla nella narrazione. Un silenzio eloquente, come deve essere quello che caratterizza l’esperienza autentica del “vieni e vedi”.
Testimone fino in fondo
Filippo terminerà la sua vita a Hierapolis, nell’attuale Turchia, città sacra ad Apollo e sede di un tempio molto frequentato. Quando il proconsole della città si accorge che Filippo invita molti ad aderire al Vangelo, convincendo anche la propria moglie con il suo “vieni e vedi”, decide di mettere fine all’esistenza dell’apostolo: lo arresta, lo condanna, lo fa inchiodare a un albero a testa in giù e, una volta morto, lascia che sia sepolto nella città.
Filippo ha invitato molti e molti gli hanno reso omaggio. “Vieni e vedi”, ripete ancora oggi l’apostolo a ciascuno di noi… ricordandoci che la vocazione, qualunque essa sia, ci immerge nell’esperienza di Cristo.
(Giacomo Perego, rivista SE VUOI 5/2017)