Sulla riva del lago
PIETRO

 

 

Introduzione

La chiamata di Pietro è motivo di attenzione da parte di tutti gli evangelisti, ma Giovanni gli attribuisce un’enfasi particolare e racconta due volte la sua vocazione: in Giovanni 1,35-42 e in 21,1-19. Per ragioni di spazio noi ci soffermeremo solo sulla seconda scena di vocazione che si colloca all’indomani della Pasqua. L’autore sacro precisa che era “la terza volta” che Gesù si manifestava ai discepoli e, come le due volte precedenti, per farsi strada deve abbattere alcune barriere presenti nel cuore dei suoi: nel primo caso la paura (20,19), nel secondo caso l’incredulità (20,27), ora il ripiegamento sul passato e sull’io (21,3). Nella terza manifestazione del Risorto (21,1-19) colpisce una sorta di “protagonismo” di Pietro caratterizzato da slanci generosi ma scomposti, che sembrano non tenere per nulla presenti coloro che, in fondo, gli sono stati affidati: dal “Io vado a pescare” del v. 3, al precipitarsi da solo verso la riva non appena capisce che c’è il Signore (v. 7), al gettarsi con foga, sempre da solo, sulla barca per trascinare la rete piena di pesci (v. 11). Tre slanci, tre prese di posizione dove sembra quasi che gli altri non esistano: né i sei che sono con lui, mai interpellati né coinvolti, né i quattro che sono rimasti a casa di cui Pietro sembra non darsi affatto pensiero. Eppure il Risorto mai si rivolge a Pietro nei vv. 1-14; al contrario interpella tutti i presenti: “gettate” (v. 6), “portate un po’ del pesce” (v. 10), “venite a mangiare” (v. 12).

Senza fretta

Gesù sembra osservare Pietro con calma. Agli slanci di Pietro non dà la minima soddisfazione di un feedback positivo. Anzi, si colloca proprio all’estremo opposto: Pietro si butta, si precipita, dà vigore al suo io; Gesù invita, coinvolge, interpella la comunità dei sette, rivolgendosi sempre a tutti. Solo alla fine sembra prendere in disparte Pietro che nel frattempo deve pur aver percepito che qualcosa non va. Lo chiama con il nome di famiglia: “Simone, figlio di Giovanni” (v. 15), non con quello che lui gli ha dato. Risale alla sorgente della sua identità. Quel nome rievoca tutto quello che è: le sue radici, il suo mondo, il suo lavoro, il suo lago. L’appello vuole toccare tutta la vita di Simone, non solo la sua testa e nemmeno i soli suoi slanci. Tanti sono i Simone, perfino nel gruppo dei Dodici. Lui è il figlio di Giovanni. Quando Gesù ci chiama e ci interpella, ci guarda sempre nella prospettiva di quell’unicità che il disegno del Padre ci riconosce e ci riserva.

Mi ami tu?

Ogni vocazione, come del resto ogni missione, è questione di amore. L’amore è la legna che tiene vivo il fuoco: in caso contrario il calore della vita scema e si scende nelle prigioni del proprio io, del clan di provenienza o delle proprie emozioni, tre inganni che Pietro conosce bene. Un fuoco deve ardere dentro, un fuoco che non consuma… Lo confermerà anche l’apostolo Paolo: “L’amore di Cristo mi spinge” (cf 2Cor 5,14). In genere la triplice domanda rivolta dal Risorto a Simone viene interpretata come un riferimento indiretto al triplice rinnegamento (narrato dal quarto vangelo in Giovanni 18,25-27), eppure a noi sembra che il riferimento sia quello più immediato ai tre slanci di cui sopra. Gesù, con la sua domanda, scava l’io dell’apostolo, e gli chiede che cosa lo abiti, che cosa lo riempia. L’amore? Se è l’amore, come sembra rispondere, esso non può non tradursi in una attenzione all’altro, alle “pecore”, cosa di cui Simone, finora, non ha dato affatto prova, pensando solo ed esclusivamente a se stesso.

Pasci i miei agnelli

Nessuno viene chiamato per se stesso, né tanto meno per chiudersi in un rapporto con il Signore che escluda gli altri. L’autentica risposta alla vocazione è un nutrire e un accompagnare gli altri, mettendosi in gioco con loro e assumendosene fino in fondo la responsabilità. Aspetti che Pietro rischia di trascurare. La missione è prendere a cuore l’altro, sapendo che appartiene a Colui che amiamo: aspettando, non scappando avanti secondo i propri desideri (“io vado a pescare”); condividendo quanto affiora nel cuore, non gustando da soli il meglio (“si gettò nel mare”); coinvolgendo, non facendo leva sulle sole proprie forze (“trascinò la rete a riva”). Il chiamato è innestato sempre in un intreccio di relazioni. Nessuno è missionario da solo. Chi fa da sé è un battitore libero, non un chiamato o un inviato di Cristo.

Quando eri giovane…

Agli slanci di Pietro verso il Risorto, questi aggiunge le esigenze verso gli agnelli, verso la missione, esigenze che arrivano alla consegna piena nelle mani di Dio e degli altri fino alla docilità nell’essere portato dove Simone non vuole, glorificando Dio con il pieno dono di sé. Non c’è vero amore al Maestro se non c’è vero amore agli agnelli. E quali sono i primi agnelli a cui Pietro deve prestare attenzione? I sei che sono in barca con lui; i quattro che sono rimasti non si sa dove e di cui Pietro non si sta dando pensiero! Pietro deve smettere di nutrire con il pesce impuro del mare di Tiberiade che solo lui sa pescare e deve cominciare a nutrire con quello che lui è, così com’è, diventando lui stesso pane. Seguimi! invita lapidariamente Gesù. Ma non prima di aver coinvolto, interpellato, ritrovato gli altri, aprendo il cuore perché, cammin facendo, diventi sempre più una “casa” capace di ascolto e di ospitalità. La stessa che il Risorto ha offerto sulla riva del lago.

(Giacomo Perego, rivista SE VUOI 1/2017)