L’ultima luna di settembre
«Una storia sull’infanzia e la genitorialità, ambientata tra gli incantevoli paesaggi della Mongolia»

Cast tecnico
Titolo internazionale: Harvest moon; Lingua originale: Mongolo
Regia: Balžinnâm Amarsaihan; Soggetto: Dal racconto di T. Bum-Ėrdėnė
Sceneggiatura: B. Baârsajkan, B. Amarsaihan; Fotografia: Josua Fischer
Montaggio: Batsuh Baârsajkan; Musiche: Odbaâr Battogtoh
Scenografia: Bolor-Ėrdėnė Najdannyam; Costumi: Bolor-Ėrdėnė Najdannyam
Durata: 90’; Genere: drammatico; Nazione: Mongolia
Produzione: IFI Production; Distribuzione per l’Italia: Officine UBU; Uscita in Italia: 2022
Cast artistico
Tulgaa: Amarsaikhan Balžinnâm
Tüntüülej: Garamhand Tėnüün-Ėrdėnė
Ambaa: Sovd Damin
Nonno: Davaasamba Šarav
Nonna: Cerendarizav Dašnâm
Žigmed: Rencenhorloo Adiya
Toguid: Dašnanzad Batbaâr
Sinossi

Opera prima dell’attore – e in questo caso regista – Amarsaikhan Baljinnyam che interpreta il film, lo dirigee ne scrive la sceneggiatura con Bayarsaikhan Batsukh, basata sul racconto breve Tuntuulei di T. Bum-Erden.Come film d’esordio Amarsaikhan Baljinnyam produce un toccante dramma che narra di uno chef d’albergo a cinque stelle che dalla città ritorna alla campagna per stare accanto al proprio patrigno in fin di vita e racconta di un ragazzo-pastore di soli dieci anni, intrepido e affamato di affetto. Ambedue non conoscono il proprio padre biologico. Diventano amici di un’amicizia forte come la vita. Le prime scene del film si sciolgono con Tulgaa (lo chef) che viaggia su un pulmino stipato di persone; con Tulgaa che trascorre ore intense con il patrigno il quale, con voce flebile, si fa promettere che il campo di fieno verrà falciato quando lui non ci sarà più e sarà l’ultima luna di settembre; con Tulgaa che saluta con tenera riconoscenza il padre che lo lascia per sempre. Infine, con Tulgaa che incontra il piccolo pastore Tüntüülej che vive lì, nella zona, con i propri nonni. Tulgaa e Tüntüülej all’inizio non si sopportano. Il bambino colpisce con la fionda lo sconosciuto che disturba le pecore di suo nonno. Scena dopo scena tra i due nasce un’amicizia genuina e forte che ha tutte le connotazioni della famiglia, seppure particolare. Tulgaa, attraverso l’attesa, l’ascolto, l’invito a fare cose insieme e l’aiuto che insegna diventa di fatto quel “padre” che Tüntüülej ha cercato sempre con fervore e non ha mai avuto. Ma che succede quando arriva l’ultima Luna di settembre e il legame tra i due rischia di spezzarsi? Tulgaa apre il foglio spiegazzato che Tüntüülej gli ha consegnato come addio. C’è un disegno che mostra il piccolo al centro, riconoscibile dal cappellaccio dal quale non si separa mai, con la madre da un lato e… con Tulgaa dall’altro. D’impeto i due si chiamano per nome e si mettono a correre l’uno verso l’altro e l’ultima inquadratura ci lascia negli occhi il loro fortissimo abbraccio. Se il film evita il lieto fine, racconta però con finezza e un tocco di poesia la genitorialità e l’amicizia, come racconta anche il cambiamento della Mongolia, oggi connessa con il futuro, anch’essa in cerca d’affetto nelle terre incantevoli dell’Oriente.
Linee di lettura
Una storia sull’infanzia e sulla genitorialità, incastonata tra i bellissimi paesaggi della Mongolia, è l’occasione per scoprire terre e tradizioni e per estasiarsi di fronte all’eterno tema dell’amicizia. Un racconto quasi magico, ambientato in una Mongolia che sa di luogo della mente e dello spirito. Forse si verserà qualche lacrima per l’intergioco padre-figlio e per l’alto valore dell’amicizia, ma durante la visione del film si riflette anche. Spigolando fra i dialoghi sobri che intercorrono tra i protagonisti ci si immerge nel film con gli occhi, le orecchie e i sensi desiderando che una relazione d’amicizia così genuina e totale si affacci anche nelle nostre vite e ci catturi per sempre. Chi non si commuove di fronte a un bambino testardo, ma radicalmente sincero? Chi non coglie l’emozione di gioia che nasce dal sentirsi trattato da figlio? Chi non si propone di essere, per i Piccoli con i quali lavora, madre o padre che accudisce, custodisce e invita alla crescita? Levigata da standard cinematografici di elevata qualità, l’esplorazione della genitorialità e della relazione d’amicizia da parte de L’ultima luna di settembre è semplice e dolorosamente tenera.
Il film è di una raffinatezza rara e al tempo stesso è dolce e coinvolgente. Brilla di accesa bellezza nelle riprese dei paesaggi e nella musica. La luna di settembre più che un ritorno pentito alla natura dell’uomo industrializzato è il ritorno alla semplicità del ragazzino che ha ben chiaro ciò che conta di più nella vita, ovvero costruire relazioni autentiche.
Oltre ai bellissimi panorami e al profumo di fieno ci resta impresso che ogni azione lavorativa non è finalizzata all’accumulo, ma alla semplice e pacata sussistenza. Ci resta che l’uomo è “ospite” della Natura e non viceversa. Ci resta che gli spazi e i tempi a contatto con la natura si dilatano cancellando la corsa frenetica per le cose da fare e la pressione della produttività. Una piccola citazione, all’interno del film, nei confronti della tecnologia che ci schiavizza è quella del cellulare che non prende se non sopra una montagna, e comunque tenendolo su un’asta e mettendosi in piedi, in bilico, sulla sella di un cavallo.
Che belle le inquadrature del film! Si succedono in uno scenario fatto di praterie sconfinate abitate da piccole yurte; fatto di pascoli a perdita d’occhio dove pecore, capre e cavalli si muovono liberi seguendo ritmi pacati o incalzanti. La luce naturale dell’alba, del tramonto e del crepuscolo incanta, come incanta la luce artificiale usata con sobrietà. Resta impressa l’apertura della porta della yurta, dipinta con la luce del fuoco che brucia all’interno mentre si staglia contro un cielo intensamente blu. Suoni e note appena percettibili ricalcano le melodie locali si armonizzano perfettamente con le inquadrature. Tutto è così bello perché fa da cornice all’intensa, autentica e tenera amicizia che lega Tulgaa e Tüntüülej.
Il film ci lascia con una risposta-proposta lineare: essere, nella relazione genitoriale e nella relazione d’amicizia, persone “di cuore”. Non servono molte parole. Essere “di cuore” si legge nei gesti, negli sguardi, nei sorrisi piccoli come semi o grandi come soli.
(Caterina Cangià, rivista SE VUOI 6/2023)
