Dalì Atomicus

Scelte che ci lanciano verso nuove realtà

Sfido chiunque a non riconoscere il sog­getto ritratto nella foto! Salvador Dalí, natural­mente, inconfondibile nel suo volto ormai diventato leggenda. Sfido chiunque, invece, a sa­pere chi ne sia l’autore. Si tratta di Philippe Hal­sman (Riga, 1906 – New York, 1979), fotografo di origine ebrea che dal­l’Austria si rifugia negli Stati Uniti, seguendo la stessa sorte di molti altri artisti, scienziati e intel­lettuali. Affascinato dal Surrealismo, agli inizi degli anni ’40 decide di in­contrare Dalí a New York, un personaggio contro­verso, complesso e al contempo dalla personalità magnetica con il quale stabilisce un duraturo sodalizio.
È il 1948 quando viene concepita quest’imma­gine dal titolo Dalí Atomicus, la cui versione finale fu pubblicata sulla rivista Life, riscuotendo un enorme successo.
Qui osserviamo solo una delle tante versioni, poi­ché quella definitiva è il frutto di numerosi tenta­tivi a noi oggi del tutto inconcepibili, nulla che qualsiasi device dotato di AI non possa fare per noi. Infatti, Halsman scatta una ad una circa 28 foto che ogni volta porta in camera oscura, svi­luppa e scarta progressivamente, fino ad arri­vare a un risultato sod­disfacente. Il titolo è un omaggio al quadro che si vede nella foto e che Dalí stava allora dipin­gendo, Leda Atomica, iniziato dopo lo scoppio della bomba atomica e con Leda sospesa a mez­z’aria, riferendosi alla teoria per cui le particelle nella fisica intratomica non si toccano. Da qui Dalí e Halsman lavo­rano insieme all’idea di sospensione, decidendo di usare qualche piccolo trucco scenico per tenere sospese la sedia e uno sgabello – un assistente di cui vediamo bene le mani e un sostegno; un cavalletto e il quadro, con fili che si intravedono – e nessuno per i tre gatti e l’acqua, che a ogni scatto vengono davvero lanciati simultaneamente in aria (poveri mici)!! Anche a Dalì è chie­sto di saltare al via del fotografo e deve essere stato divertente trovare il modo di controllare l’espressione facciale e mantenere invariato il suo aspetto iconico o forse era davvero così?
Dopo questa esperienza, infatti, Halsman chie­derà ad altri personaggi noti del mondo del ci­nema, della moda e non solo (es. Einstein), di farsi ritrarre saltando, affer­mando che quando le persone sono impegnate e concentrate nel fare un buon salto perdono la loro maschera, soprattutto quella sociale, che cade immediatamente e inesorabilmente. Dentro questa realtà surreale, appunto, e sospesa in un tempo inesistente, dilatando la percezione di un millesimo, troviamo una realtà in divenire, che sta per formarsi in quell’attimo. Un preciso istante, congelato e osserva­bile, nel quale intuiamo ciò che precede o succede alla scena, pur comprendendo variabili infinite e potenziali che non sono mai state scattate, ma che sarebbero po­tute accadere.

Credo che molte volte vorremmo un fermo im­magine sulla nostra vita: quando corre troppo veloce, quando non la ca­piamo più, quando non sappiamo dove stiamo andando, quando tutto perde senso. Quindi speriamo che un certo tra­gitto della nostra perso­nale linea del tempo possa essere visto come fosse un esploso archi­tettonico per essere os­servato, organizzato e studiato dall’altro con l’obiettivo di ordinare e orientare le scelte e, spesso, controllarle.
Probabilmente abbiamo fatto anche noi molti tentativi per ottenere una immagine migliore, abbiamo ripetuto errori o fossilizzato esperienze… Proviamo allora ad aprirci alle ipotesi rischiose del salto: alla perdita della maschera per trovare se stessi, alla perdita dell’equilibrio per trovarne di nuovi, alla perdita di stabilità per aprire altri scenari e narrazioni.

Il salto è un esercizio li­beratorio e gioioso, ma richiede coraggio per sopportare quella sensa­zione di vuoto che nella sospensione dura un istante infinito. Saltiamo prendendo slancio da un terreno solido che ci so­stiene, saltando teniamo stretto ciò a cui teniamo ma lasciamolo cadere se non serve, perdiamo per un attimo il contatto re­stando a mezz’aria, come nel sogno, e “passiamo” oltre, a una realtà meno filtrata da false ap­parenze o adombrata da oggetti superflui.

(Erica Romano, rivista SE VUOI 3/2025)