Le vagliatrici di grano

Per Le vagliatrici di grano Gustave Courbet (1819 – 1877) mette in posa le sorelle e il figlio, chiamando in causa la propria realtà quotidiana a far parte della rappresentazione. Lui è un artista dai grandi slanci, un erudito passionale che mette carne, meglio se viva, nella pittura. Difatti, nella sua dichiarazione Il realismo (1855), scrive che dopo aver a lungo studiato non vuole imitare né copiare nessuno, ma solo “sapere per potere”, con l’obiettivo di “fare dell’arte viva”, traducendo la realtà della sua epoca secondo il proprio libero giudizio. Un programma tale che fa di lui il capostipite del Realismo francese, di un’arte che vuole conoscere e restituire la realtà così com’è.

In questo dipinto del 1854, vedere il reale significa entrare in una stanza spoglia e avere una donna di spalle che vaglia il grano in modo ripetitivo, scomodo, poco interessante. Ciocche che sfuggono tradiscono la fatica in un corpo energico di cui non vediamo il volto: lei è le sue braccia che tengono ferma la presa del setaccio, con la certezza che in quel gesto minimo, costante e ripetuto allo sfinimento, sta l’oggi essenziale che matura buon pane domani.
Accanto a lei, quasi preda del sonno, un’altra con dita sottili fa attenta cernita di grani. Sullo sfondo, da perfetto contraltare alle due figure, un gatto sornione e un bambino che vince la noia curiosando qua e là.

Dopo una breve irruzione nella scena, spingiamoci oltre per cogliere uno spunto in questo frammento quotidiano: vagliare il grano, separare il chicco dalla pula, è il gesto cardine alla base della macinazione per ottenere buona farina da impasto. Quelle donne hanno ben messo a fuoco l’obiettivo e sanno di dover cernere, a lungo e con ostinata pazienza, oltre il limite della stanchezza, per separare il buono dal meno buono o il grande dal piccolo, senza giudizio, senza timore di dispiacere. Entriamo così, in punta di piedi, nel palcoscenico delle scelte, quelle azioni che determinano la vita e che talvolta fanno paura, perché ne ignoriamo il movimento interiore e nascosto che le origina e le orienta. Se vagliare il grano è passare al setaccio non solo le impurità, ma anche separare chicchi di diverse dimensioni, discernere, dunque, è imparare l’arte di scegliere attraverso un esame attento e accurato a partire dalla realtà concreta del seme.

Cos’è, come lo diventerà? Inizia il processo misterioso del pane, fine ultimo, che per essere buono prevede intenzioni e mezzi altrettanto buoni, una materia prima epurata da ciò che è “cattivo” perché inutile, che non serve al raggiungimento di un pane che dia gusto, sazi e rallegri lo spirito a ogni morso. Come fare ordine in un mare magnum di chicchi e capire quale sarà pane e quale mangime per polli? Ecco un piccolo ricettario adattabile alla migliore felicità da scegliere ogni giorno, perché le scelte si costruiscono, non si scoprono: cercare l’origine che muove le cose mettendo a fuoco ciò che desideriamo davvero, spesso un’intuizione al bene e alla “bellezza che siamo” durevole nel tempo, non scintilla ma fuoco originario o chicco da cui la pula si stacca senza paura di essere nudo; abitare il proprio mondo interiore per integrare corporeità, affettività, intelligenza per riconoscere e dare un nome a emozioni e sentimenti rispetto a ciò che oggi la realtà mi consegna; individuare una gerarchia di valori per distinguere il grande dal piccolo; lasciare andare restituendo ogni cosa alla sua natura o funzione, perché resti solo ciò che fa crescere ovvero che risuona con lo strepitio del fuoco o lievito che avvolge il chicco nudo come un abito su misura; di fronte a strade ugualmente buone capire dove riesci ad amare di più, dove senti di riuscire a riconsegnare la vita che hai dentro, dove trovi quel di più che le dà gusto” (G. Piccolo).

Il vero tesoro allora è la libertà interiore, un sapere di noi profondo che è sapore, potere di un agire che profuma, come il pane, e rallegra anche chi è solo di passaggio o resta al nostro fianco.

(Erica Romano, rivista SE VUOI 6/2023)