Livre du coeur d’Amor épris
Cuori, cuoricioni, cuoricini…
Quanti ne avremo disegnati sui banchi, nei diari e nelle lettere d’amore? Tracciamo i segni di cuori innamorati con quelle due piccole gobbe stilizzate, quando poi a quello vero, quello anatomico, non ci somiglia per niente! Al cuore associamo emozioni e sentimenti come se avesse una sua mente per pensare e un suo corpo per sentire, in autonomia rispetto alla nostra volontà. Davvero l’universo emotivo ha un luogo dove abitare in una qualche parte di noi?
Dobbiamo agli Antichi l’immaginifica facoltà di attribuire a ogni organo un sentire, un provare intenso riflesso nelle diverse funzioni fisiologiche. Quanto al cuore, fu il medico e filosofo Galeno (129 – 201 a.C.) ad affermare che somigliava a una pigna o a una foglia di edera a testa in giù. Sotto queste sembianze viene rappresentato fino al Medioevo, per poi arrivare alla forma di una “pera” sia nelle opere a tema amoroso sia in quelle religiose, come quella tenuta in mano dalla Caritas di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. Dobbiamo però aspettare il Quattrocento per intravedere cuori stilizzati simili ai nostri contemporanei.
Al 1465, infatti, risale la miniatura che vi propongo, una scena a dir poco deliziosa e a tratti ironica, dove due dame sono intente a catturare i cuori di amanti incauti dentro la rete che hanno loro teso. La fonte è Livre du coeur d’Amour épris, un codice francese realizzato per Renato d’Angiò in cui la storia, tra prosa e poesia, narra una intricata vicenda d’amore, in cui i personaggi principali sono le personificazioni di Amore e Onore. L’immagine, parte di un ciclo che chiude il libro e corredata da un breve testo, rappresenta fragili cuori alati attesi alla solita ora – prevedibili nel cedere alle seduzioni – all’inizio di un bosco di querce in un clima amichevole e cortese. Per questo, Amore ammonisce Cuore chiamandolo frettoloso e passionale, ma al contempo fa sì che Onore gli strappi la promessa che d’ora in poi sarà lui a servire fedelmente il dio dell’Amore.
Il clima è quello dell’amor cortese, dove l’amore diventa strumento di elevazione, di nobilitazione spirituale e che ha le sue radici nella concezione cristiana dell’amore come donazione gratuità di sé. Il cavaliere dona il proprio cuore a colei che ritiene degna di virtù fisiche e morali, chiedendo alla sua domina (dal lati-no “signora”) di riceverlo come pegno di assoluta fedeltà e di “indossare” cotanto amore come sigillo sul suo petto. Da quel preciso momento la dama governa il cuore dell’amante. L’amore, allora, non sembra essere qualcosa di dissociato dal corpo, non lo è neanche quando entra ed esce con le sue ali seguendo un capriccio e finendo catturato con abilità da astute “tenniste medievali”.
In queste storie si intuisce bene come l’amore fosse sentito come un’energia totalizzante e che il cuore, per tradizione, era retaggio della lezione di sapienti maestri dell’arte di ascoltare, che a questo organo vitale attribuivano la sede della conoscenza, della memoria e dei sentimenti e che dunque poteva ben rappresentare l’interezza della persona, nella sintesi suprema di tutte le sue facoltà: dell’intelletto, del sentire e della volontà e, di conseguenza, dell’agire. E la mente, che fine ha fatto? Oggi la collochiamo nel cervello, dove abbiamo traslocato le nostre migliori abilità, ma ha sempre avuto un ruolo di suddito: la mente è seconda al cuore in virtù di quelle facoltà che in realtà non possiede. Infatti, se il cuore è il motore, la mente rappresenta le marce, i pedali o la frizione, quella cosa che si brucia se non si accorda con i giri del motore. Da soli, va da sé, non valgono a nulla, ma l’uno serve l’altro per viaggiare in luoghi straordinari o semplicemente a lavoro in giornate del tutto ordinarie. Testa e cuore hanno allora bisogno di far pace, pensieri e sentimenti si muovono dentro di noi e chiedono di essere ascoltati, riconosciuti e scelti per aiutarci a fare verità nella realtà quotidiana e intraprendere così l’itinerario di vita più bello, più felice. Fingeremo, allora, che queste donzelle velate nella miniatura siano giovani pronte a cogliere il dono di un cuore libero che si offre da sé e che non hanno bisogno di catturare, respingendo al di là della rete ciò che non serve trattenere e che nulla aggiungerebbe a una felicità liberata che desidera anche lei donarsi.
(Erica Romano, rivista SE VUOI 4/2023)