TOBIOLO E L’ANGELO

Tobiolo e l’angelo di Andrea del Verrocchio (Firenze, 1435 – Vene­zia, 1488) rientra in una tradizione iconogra­fica consolidata nella Fi­renze del Rinascimento, dove l’angelo incarnava quell’onnipresente pro­tezione che i padri non potevano garantire ai figli mercanti e banchieri esposti ai pericoli del viaggio. La fonte è il libro di Tobia presente nella Bibbia che, di natura sa­pienziale, è una parabola dal valore didattico che propone al lettore un insegnamento. Il rac­conto vede protagonisti Tobi, un pio ebreo che vive nella diaspora, suo figlio Tobia, noto come Tobiolo, la guida Azaria, che si scoprirà essere l’Arcangelo Raffaele, e non ultima Sara, futura sposa di Tobia.

Tornando all’opera, in­fatti, ecco Tobia portare un pesce e stringersi al braccio di Raffaele-Aza­ria che, porgendo un contenitore per oli, ha lo sguardo basso, come chi cerca parole interiori, e il volto verso il giovane che lo guarda a sua volta. Tobia parte per riscuotere per conto del padre, diventato cieco e caduto in miseria, del denaro depositato da un parente che vive in una città lon­tana, dove però incon­trerà Sara, innamorandosene a prima vista. Aza­ria, invece, è la guida esperta che il padre gli affida e che si rivelerà amico che incoraggia e suggerisce, che orienta e procura medicamenti. Non ci addentreremo nei dettagli, ma trattandosi di una storia allegorica, ogni singolo aspetto ri­vela un valore simbolico con una sua funzione e finalità. Il viaggio di Tobia assume la metafora del passaggio tra ado­lescenza e vita adulta: quello che compie è un cammino interiore verso il senso della vita e la scoperta della propria identità, che seguono al distacco dalla famiglia. Un cammino che ha bi­sogno di una guida pre­parata che conosca la strada, che sappia con­durre nel difficile “me­stiere di vivere”, senza nulla togliere alla libertà dell’esperienza diretta, necessaria per imparare a crescere.

Il pesce, infatti, che nella storia aggredisce Tobia, al quale pare un mostro enorme, rappresenta una paura duplice, quella di morire (al proprio ego?) e quella di passare dalla pubertà alla piena matu­rità, anche fisica. Le pa­role di Azaria sono cruciali, hanno il potere di scacciare i timori infon­dati e permettono di catturare il presunto ag­gressore che annebbiava la vista. Sempre dalle sue istruzioni, scopriamo che il pesce non solo può essere mangiato, ma contiene un fiele per prepa­rare un unguento che guarirà la cecità (in verità interiore) di Tobi, mentre cuore e fegato serviranno da bruciare al mo­mento opportuno per allontanare il demone Asmodeo, che da anni uccide ogni pretendente di Sara, imprigionan­dola in un destino che sembra segnato dalla sofferenza e dalla solitu­dine. Tobia affronta così le difficoltà e Azaria-Raf­faele non si sostituisce a lui, ma con la cura che nessuna fase di crescita venga saltata o “viziata”, lo invita a fare da solo.

La fiducia e l’ascolto, che stanno in quell’essere ri­volti l’uno all’altro, con­sentono a Tobia di superare le prove con pro­gressiva maturità, fino a chiedere per sé Sara, con la consapevolezza di poter essere un condannato a morte con la fossa già pronta e di prendere in sposa una “maledetta”. Tobia è in grado ora di scegliere la sua via, di aprirsi al mistero dell’esistenza e accogliere, nonostante tutto, la promessa di un futuro “benedetto”. Non per­ché abbia evitato i peri­coli o perché la sua guida gli abbia predisposto una strada senza osta­coli, ma perché si è reso pronto all’imprevedibile, equipaggiato di stru­menti adeguati, ed è rimasto in ascolto con cuore disponibile.

Sposata Sara e soprav­vissuto al demone, Tobia torna dal padre per gua­rirlo con l’unguento te­nuto da parte, gesto che guarisce e riconcilia l’in­tera storia, con le sue fe­rite, fallimenti e povertà.

Nell’aiuto rimasto ac­canto, la cui identità si rivela solo alla fine, rico­nosciamo allora la mano “maestra” nel cammino di formazione all’età adulta, verso la maturità dell’amore e dell’amare, capace di assumersi la responsabilità di scegliere, di riconoscere i segni del presente per scio­gliere i nodi che impedi­scono il cammino, avviando un personale processo di liberazione che abbraccia tanti altri.

(Erica Romano, rivista SE VUOI 4/2024)