Essere esploratori d’INTERNI

 

 

Pensavamo di aver visto tutto e che il nostro conto con la storia − che poi sarebbe finita sui libri − era già stato ampiamente pagato. Saremo ricordati come quelli che hanno passato la pandemia del 2020, pensavo… E con questo pensiero e con un po’ di fatica stavamo cercando di rimetterci in piedi, con lentezza, guar­dando meglio le nostre cose e le nostre storie. Stavamo pian piano ri­cominciando a riavvici­narci, a stringerci un poco di più e, con tanta paura ancora negli occhi, ci stavamo riuscendo, invece… Sembra che il conto con la storia non fosse del tutto pagato e ci siamo ritrovati a ve­dere e sentire la guerra molto vicina, alle porte di casa nostra. La pan­demia e poi la guerra.

Sono tempi davvero strambi, e sarebbe bello se riuscissimo a trovare luoghi per dirci le cose del cuore, per poterci salvare e mantenerci un cuore veramente umano. Ma abbiamo il dovere di stare dentro questa nostra storia così stramba e così crudele e dobbiamo esserci come dei costruttori che credo sia l’arte più fati­cosa e rischiosa.

Vorrei partire da un episodio che sicuramente avete letto o visto: lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock. È passato ovunque in tutti i giornali e i telegiornali, è diven­tato anche un meme per i social. Proviamo a ca­pire il contesto: è la Notte degli Oscar e Will Smith è tra i vincitori della sta­tuetta come migliore attore. È il sogno di una vita per ogni attore. Quindi, immagino le cose che aveva nel cuore: belle e piene di orizzonti. Ave­vano anche osservato un minuto di silenzio in ricordo delle vittime della guerra… e poi, dopo una battuta, Will Smith si alza e prende a schiaffi il comico. E allora penso: che succede nel cuore di ciascuno? Come mai si passa da un minuto di silenzio, alla reazione con un schiaffo in pochi minuti? Sono domande che vorrei consegnarti. Vorrei che anche tu ti chiedessi “come mai”, e senza risolvere la que­stione soltanto come una risposta a un’offesa. Vai ancora più in profon­dità e cerca qualcosa che possa aiutare a tro­vare le risposte.

 


Mi sembra proprio che prima o poi dobbiamo cominciare a fare i conti con le nostre “insidie in­teriori”. Capire i nostri territori interiori e co­minciare a mettere qual­che lucina dentro, che possa farci vedere come siamo e com’è diventato il nostro territorio; e se ci accorgiamo che i nostri territori sono occupati da cose che ci appesan­tiscono, dobbiamo av­viare i negoziati con noi stessi e capire che cosa vogliamo per davvero. Mi sembra che sia que­sto il pensiero più im­portante che dobbiamo seguire: saperci vedere chiaro, scegliere di es­sere esploratori di spazi interiori, capaci di ve­dere le zone d’ombra. Perché poi, spesso, dalla paura e dalla incapacità di stare dentro la paura, nascono i conflitti. Con questo non voglio dire che basta sistemare le cose interiori di ognuno che tutto si risolve, ma voglio far notare che le guerre spesso partono dall’interno e cioè dalle zone d’ombra non illu­minate.

Dicevo che nostro com­pito, mio e tuo, in questo tempo, sarà quello di scegliere la fatica del fare i costruttori. Come si fa? Per fare i costruttori è necessario imparare a fare i conti con la fatica. Si costruisce solo con un poco di fatica e poi cer­cando di sognare qual­cosa di molto grande e di molto alto. Ecco per­ché dicevo che dobbiamo trovare i luoghi per COSTRUIRE LA PACE, aprire “i negoziati” con tutti coloro che possono essere disponibili.

Mi piace condividere con te questo pensiero di don Tonino Bello che sicuramente qualche volta hai sentito nominare: «La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia.
Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittua­lità. Non ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”.
Sì, la pace prima che tra­guardo, è cammino. E, per giunta, cammino in sa­lita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi per­corsi preferenziali ed i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue ac­celerazioni. Forse anche le sue soste».

Ci sono tutti gli ingre­dienti in questo piccolo passo per scegliere di es­sere costruttori, di fare qualcosa di buono e saper tracciare vie di spe­ranza. Ecco, dunque, come essere artigiani e non prodotti fatti in serie. Perché essere artigiani significa anche dare un’anima alle cose, guardarle con amore per molto tempo e cu­stodirle nelle proprie mani e con il proprio re­spiro. Ma prima di ogni gesto esteriore, diretto agli altri, è necessario dare uno sguardo al nostro interno.

Perché – fidati –, parti da lì e diventi solo come il tuo cuore è!

(Tony Drazza, rivista SE VUOI 3/2022)