CREARE CASA

Il tema che l’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni ha scelto per la Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni di quest’anno viene dall’Esortazione Apostolica Christus vivit nella quale Papa Francesco evidenzia un elemento che merita particolare attenzione: «Oggi – dice – molti giovani che arrivano si trovano in una profonda situazione di orfanezza. E non mi riferisco a determinati conflitti familiari, ma a un’esperienza che riguarda allo stesso modo bambini, giovani e adulti, madri, padri e figli […] forse noi stessi» (cf. ChV 216).

Quest’ultimo inciso offre una chiave per la lettura del materiale prodotto dal lavoro del Sinodo dei Vescovi. L’ascolto dei giovani deve spingere non soltanto alla ricerca di una strategia pastorale più adeguata, ma soprattutto a ritrovare quella dimensione essenziale della Chiesa che è la sua stessa riforma, la sua crescita, la costante maturazione di tutti i credenti affinché Cristo sia formato in noi (cf. Gal 4,19). «Se i giovani – continua papa Francesco – sono cresciuti in un mondo di ceneri, non è facile per loro sostenere il fuoco di grandi desideri e progetti. Se sono cresciuti in un deserto vuoto di significato, come potranno avere voglia di sacrificarsi per seminare?» (cf. ChV 216). Eccoci posti, come adulti, come davanti ad uno specchio in una sorta di esame di coscienza: quale senso e quali significati traspaiono dalla nostra vita? Quale passione ci spinge a sacrificare le nostre energie per seminare? Che cosa stiamo costruendo nella terra che abitiamo?
La sapienza della Chiesa ci insegna che per scendere nel fondo del cuore e riconoscere e chiamare per nome il male che compiamo è necessario armarsi della fiaccola della gratitudine e riconoscere, insieme alla zizzania, il grano che cresce. «I giovani non cercano accompagnatori senza difetti, ma uomini e donne che riconoscono la propria umanità e i propri errori: non persone perfette ma peccatori perdonati» (Sinodo dei vescovi, Documento finale assemblea pre-sinodale, 10).

Così, possiamo tornare a fare memoria di quell’inizio della vita di Gesù soffermandoci a contemplare il mistero del suo Battesimo nel fiume Giordano e la spinta immediata dello Spirito ad affrontare il deserto (cf. Mc 1,12) perché possa tornare ad essere giardino, città costruita attorno alla comunione della Trinità (cf. Ap 21,2) casa per tutti. «Fare casa in definitiva “è fare famiglia”; è imparare a sentirsi uniti agli altri al di là di vincoli utilitaristici o funzionali, uniti in modo da sentire la vita un po’ più umana […]. È permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi. È creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani, che tutti possiamo compiere […] perché ognuno è una pietra necessaria alla sua costruzione» (cf. ChV 217).

Nel tempo della pandemia abbiamo spesso ripetuto che “nulla sarebbe tornato come prima”. Era un grido di speranza, un desiderio vero del cuore che risuonava come un invito o un appello a non occuparsi di più di quello che passa rispetto a quello che rimane. Avevamo desiderato di dedicare più tempo alle relazioni, di smettere di rincorrere il profitto fine a se stesso, la brama di emergere a tutti i costi; riconoscendoci “tutti sulla stessa barca” avevamo conosciuto la solidarietà e l’indispensabile prendersi cura gli uni degli altri.
La cronaca dei nostri giorni pare smentire tutto questo e il processo di desertificazione delle nostre città – dei nostri cuori – sembra accelerare il suo avanzamento. Qui, nel mezzo del deserto, siamo invitati a rimanere, a stare insieme a Gesù. Ancora e con maggiore insistenza e passione abbiamo da credere nella possibilità di far crescere oasi di fraternità, comunità e ambienti nei quali, senza troppo clamore e con grande umiltà, si possa respirare e vivere il Vangelo. Si possa diventare amici.
«I colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, le comuni letture di libri ameni, i comuni passatempi ora frivoli ora decorosi, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con se stesso, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi rarissimi dissensi; l’essere ognuno dell’altro ora maestro ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose per chi ritorna. Questi e altri segni di cuori innamorati […] espressi da mille gesti gradevolissimi sono l’esca, direi, della fiamma che fonde insieme le anime e di molte ne fa una» (Agostino, Confessioni, IV, 8.13).

(Michele Gianola, rivista SE VUOI 2/2024)