I PASSI DEL PERDONO

Sembra un tema lontano dall’esperienza di vita di un ragazzo, ma è sufficiente domandare: “Hai qualche ferita nella tua vita?” e gli occhi di un giovane, di una giovane esprimono subito un senso di ansietà, ma anche la voglia di liberarsi, di guarire. Il perdono è proprio questo: liberarsi, guarire.

Ma come si fa? Prima di tutto convincersi che girare il coltello nella ferita non serve a nulla, anzi, aumenta lo stato di angoscia e di depressione. L’azione più intelligente è liberarci dal rancore che nasce dall’ingiustizia ricevuta e che causa frustrazione e perdita di autostima.
Un tradimento, una violazione, una violenza psicologica, fisica, verbale o morale non li devo perdonare. Sono un male, a volte un male assoluto. E neppure devo perdonare chi li ha commessi. Ciò che devo fare è prendermi cura di me, della mia ferita e cercare di guarire. Abbiamo il diritto ad avere rabbia, ma mantenere la rabbia e trasformarla in volontà di vendetta non ci serve. Finché manteniamo in noi questi risentimenti rimaniamo legati al nostro aggressore, dipendiamo da lui. Se ci vogliamo liberare, e vogliamo costruire il nostro futuro non dobbiamo lasciarci condizionare troppo da nessuno e dal passato. È vero che siamo stati delle vittime, ma il mantenerci nel ruolo di vittime dipende anche da noi, e ce ne possiamo liberare.
Un secondo passo consiste nel decidere di perdonare. Il perdono non è infatti una emozione, ma un atto di volontà, frutto di una scelta e di una decisione consapevole. Non è facile perdonare e non ci sono delle ricette prestabilite. Ognuno ha il suo ritmo di guarigione, i suoi tempi, che devono essere rispettati. Certamente il perdono più difficile è perdonare se stessi. Abbiamo in noi un certo senso di perfezione per cui non accettiamo di esserci sbagliati o, a volte, cadiamo in una depressione così forte da pensare di non trovare più nessuna via di uscita. Né il rimorso né il perfezionismo ci aiutano. Accogliamoci così come siamo, convinti che nessuno è semplicemente il suo errore. Non siamo solo il nostro passato, ma anche il nostro presente e il nostro futuro. Questa convinzione ci permette di non mettere delle etichette agli altri e nemmeno a noi stessi. Il ladro, l’assassino, lo spacciatore… sono persone che rubano, uccidono, spacciano, persone che non perdono mai la loro dignità.
Non si tratta di ignorare quanto è stato commesso, ma di assumerne la responsabilità, cercando di riparare e di offrire a se stessi e agli altri la possibilità del cambiamento.

Allora arriviamo al terzo momento, quando non giustificando quanto è successo, cerchiamo di comprendere la persona che ci ha ferito.
Umanizzare il proprio avversario è umanizzare anche noi stessi. Nella fragilità vicendevole nasce la compassione, che genera il perdono, che guarisce. Non cerchiamo ancora la riconciliazione con il nemico, ma sentiamo che quella o quelle persone sono ora già presenti in modo virtuale. Dal momento che la rabbia e l’odio, che ci dominavano, li sappiamo gestire in modo significativo, aperti all’empatia e all’ascolto attivo, non ci sentiamo più legati o dipendenti da nessuno. È vero che i fatti negativi, anche se superati, lasciano sempre qualche traccia in noi, ma non si tratta più di ferite aperte, bensì di cicatrici, segni di un dolore ormai sopportabile. E anche i fatti negativi diventano dei vissuti esistenziali e positivi per la nostra formazione e maturazione.

In quanto tempo possiamo realizzare questo cammino del perdono? Siamo convinti che non ci sono delle formule o delle ricette per cui, compiuti un determinato numero di passi, si arrivi alla meta. C’è un percorso, ma il suo compimento è personale. Per alcune persone, situazioni che si possono considerare come relative, diventano delle difficoltà quasi insuperabili perché, oltre al fatto in sé, giocano altri elementi. Se l’offesa l’ho ricevuta da una persona cara, da chi non me l’aspettavo, in un momento di debolezza fisica o spirituale… evidentemente il perdono diventa più arduo. Allora ci metteremo più tempo: mesi o anche anni, ma sappiamo che la meta è sempre il perdono, perché si tratta di una realtà che ci serve, che ci fa stare bene, che ci libera, migliora la nostra autostima e la nostra relazione con gli altri.

(Gianfranco Testa, rivista SE VUOI 6/2022)