Una LUCE che raggiunge TUTTI
di don Tony Drazza
Esiste nella vita di ciascuno un momento particolare, o meglio ancora un accadimento, un evento che ti raggiunge nel bel mezzo delle tue giornate e ti stravolge, che ti cambia lo sguardo sulle cose, che ti rende molto attento su quello che stai vivendo. Parlo proprio di qualcosa che si stampa sul cuore, come un forte innamoramento e che non ti lascia più, ma addirittura ti cambia. Da dentro.
La vita dei discepoli di Gesù deve essere andata così: tutta piena di cose che si stampavano nel cuore e che ogni volta li rendeva diversi, più attenti e consapevoli del cammino. Puntualmente, però, un inciampo, un dubbio, delle domande. E Gesù, con la sapienza del Maestro e la verità di un fratello, ridonava agli amici parole buone, ripeteva ancora una volta quei discorsi così veri che ridavano ai discepoli un orizzonte certo verso cui puntare, e un sentiero sicuro su cui camminare. E la loro vita si narrava così: con questo alternarsi di altezze e precipizi, innamoramenti e confitte.
Assomiglia tanto alla nostra vita: quando pensiamo di aver capito tutto, quando crediamo di aver trovato il “bandolo della nostra matassa”, quando pensiamo di aver messo tutto al giusto posto, ecco che qualcosa ci sconvolge di nuovo. Si rompono gli equilibri. Ma poi, quale vita è in equilibrio? Probabilmente non lo era quella dei discepoli e non lo è la nostra: sussulti del cuore, spigoli, fatiche e poi ancora speranze, amici che ridonano certezze, relazioni intime col cielo e con gli altri, meccanismi di difesa e di attacco. Un’acrobazia continua.
Ti chiederai: perché ti scrivo di cambiamenti e di sicurezze smarrite? Perché ti descrivo come sono le nostre vite, soprattutto quando pensiamo di avere a che fare con Gesù? Perché c’è il rischio forte di chiuderci dentro le nostre conquiste, dentro le cose che abbiamo risolto, guadagnato e pensare che nessuno può entrarci, che le “nostre cose” hanno solo un’eco nel nostro cuore e non un riflesso sugli altri.
Il capitolo 9 del Vangelo di s. Marco racconta molte cose. I discepoli e Gesù hanno fatto tanta strada insieme, hanno condiviso guarigioni, annunci particolari; hanno compartecipato a gioie e dolori. Ormai si può dire che si conoscono profondamente tra loro, si sentono una famiglia, cercano di volersi bene nonostante litigi e incomprensioni come accade in ogni vera storia di amicizia; percepiscono Gesù come uno di loro, ma erroneamente credono sia di loro proprietà, cercano di tenere Gesù protetto e lontano dagli occhi di tutti. Poi succede che dopo un’esperienza a cui i dodici hanno assistito, Giovanni, il più piccolo di tutti, con il coraggio che solo i giovani possono avere dice a Gesù: «[…] Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite […]».
…Abbiamo visto che un uomo stava facendo del bene, che stava ridando la vita a qualcuno, ma noi ci siamo messi in mezzo perché non appartiene al nostro gruppo, perché non ci segue, perché non lo conoscevamo. Invece di aprire le stanze del cuore, chiudiamo porte e finestre al bene. Invece di aprirci a un incontro, gettiamo le chiavi e giriamo le spalle. Abbiamo sempre questa tendenza a voler impedire il bene non fatto da noi o magari a non riconoscerlo. Abbiamo sempre cercato di mettere Gesù dentro confini molto rigidi, di farlo stare dentro le nostre linee programmatiche di intervento. E invece Gesù si libera da tutto questo con un bellissimo “comandamento” che forse, in questo tempo inedito, dovemmo riscoprire: “non glielo impedite…”.
La meravigliosa esperienza di non impedire il bene che passa da cuore a cuore, da mano a mano, da sguardo a sguardo, è l’immagine di una Chiesa che è capace di riflettere la luce per poter raggiunger tutti. Una Chiesa al plurale, animata da un “noi” universale che vive per gli altri e negli altri e che trova nutrimento dall’operato di ciascuno, dall’impegno del singolo che con cura sa stare “nel piccolo e col piccolo”: solo così il grande si rivela. Solo così la nostra Chiesa può essere la sintesi di vite e storie che si mescolano e diventano pane buono per tutti e per ciascuno.
Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Christus Vivit (nn. 206 – 207) scrive così: “In questo modo, imparando gli uni dagli altri, potremo riflettere meglio quel meraviglioso poliedro che dev’essere la Chiesa di Gesù Cristo. Essa può attrarre i giovani proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riversa incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie”.
Essere dunque un “meraviglioso poliedro” capace di riflettere la luce da ogni angolo e da ogni lato vuol dire non trattenere niente per sé, non impedire di fare il bene, riconoscere il bene fatto da altri che sono lontani da noi, ma non sono lontani dal cuore di Dio e lasciare che questo bene si moltiplichi e irradi senza sosta.
Ti lascio in dono una frase di Etty Hillesum che riassume tutto quanto in poche parole: “Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati – non potrebbe essere questa l’idea?”.
(da SE VUOI 2/2023)
