La TRAPPOLA
di dover piacere a tutti 

L’idea di dover piacere a tutti è una trappola. Sì, una trappola cognitiva in cui ci incastriamo da soli o ci lasciamo incastrare da una società sempre più fatta di apparenza e meno di relazioni profonde. A tutti fa piacere essere voluti bene, ma questo ha poco a che fare con il fatto di dover piacere sempre a tutti. Quando si vuol bene a qualcuno lo si accoglie con i suoi pregi e i suoi limiti, quando invece vogliamo piacere a tutti i costi, ci sforziamo di essere come gli altri vorrebbero che fossimo o come pensiamo che ci vorrebbero. Ci costringiamo, così, ad essere diversi da come siamo in realtà, con grande rischio di insoddisfazione personale. Paradossalmente, meno stima abbiamo di noi stessi e più desideriamo l’apprezzamento degli altri, senza renderci conto che proprio questa spasmodica ricerca di consenso ci fa cadere in un circolo vizioso di insicurezza e bisogno di approvazione.
Ti è mai successo di aspettare dei like a qualche tuo post sui social? Questo tipo di riconoscimento è una droga che attiva nel cervello il circuito della ricompensa. Per quanti like arrivino, non saranno mai abbastanza per farci sentire “sicuri di piacere”, ci domanderemo se realmente queste persone apprezzeranno ancora ciò che faremo in seguito, crescerà sempre più il bisogno di quei like e con esso la terribile paura di poterli perdere. Siamo nel vortice.
I segni che una persona è entrata nel circolo vizioso del voler piacere a tutti i costi possono essere diversi: tende a giustificarsi anche quando non è richiesto; ha paura di deludere qualcuno nel fare le proprie scelte; fatica a dire di no alle richieste altrui; si mette in secondo piano senza tenere conto dei propri bisogni e si domanda costantemente cosa pensino gli altri di lei.
La buona notizia è che si può decidere di venirne fuori, ma bisogna sceglierlo. Bisogna decidere che la propria vita è degna di essere vissuta, comunque sia. Chi desidera piacere a tutti, spesso, ha molta difficoltà a fare scelte, perché teme di fallire e di venire giudicato o rifiutato per questo. Generalmente, ciò che spinge alla ricerca continua di consenso e al timore di non piacere è l’autocritica. Come un tarlo essa assilla coloro che, infliggendosi in maniera rigida e dura certi standard e svalutandosi se non li raggiungono, sentono fortemente tale giudizio anche da parte degli altri a causa di un meccanismo proiettivo per cui l’altro diventa il proprio giudice.
San Paolo, nella lettera ai Galati, afferma che seguire Dio vuol dire non cercare di piacere agli uomini: “Vado forse cercando il favore degli uomini, o quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Gal 1,10). Da questa frase piuttosto perentoria di Paolo possiamo cogliere una necessità imprescindibile dell’uomo, una prerogativa importante da raggiungere se si vuole essere felici: DIVENTARE LIBERI DI SCEGLIERE. Se voglio piacere a tutti non sono più libero, in quanto costretto a piegarmi alle richieste e alle aspettative di chiunque, sono schiavo della mia stessa paura di non piacere. Liberarsi da questa costrizione vuol dire diventare autenticamente se stessi imparando a cogliere la propria realtà di persona unica, irripetibile e amata da Dio per ciò che è. Ma come liberarsi? Al capito 1 del Vangelo di Marco, Gesù incontra un lebbroso (considerato impuro a quel tempo), si lascia avvicinare da lui, si commuove e lo tocca. Papa Francesco, commentando questo brano nell’Angelus del 14 febbraio, sottolinea tre parole: vicinanza, compassione e tenerezza. È questa compassione che sa lasciarsi toccare fin nelle viscere dal dolore dell’altro e che, a sua volta, tocca con tenerezza noi e guarisce ogni nostra “lebbra”. Persino la scienza sta dimostrando come un atteggiamento compassionevole verso noi stessi sia l’antidoto all’autocritica che ci mantiene nella sofferenza. Esistono persino percorsi psicologici basati sulla compassione intesa non come semplice provare pena, ma come la capacità di vedere la sofferenza e il desiderio di alleviarla, che ricorda la parola ebraica rahamim con cui nella Bibbia si descrive quel sentimento di intimità amorevole che lega Dio all’uomo.
Se il “dover piacere a tutti” è una rigida imposizione del mio “io” ipercritico, la compassione amorevole è ciò che può liberarmi da questa trappola.

(Marzia Rogante, rivista SE VUOI 4/2021)