“C” come Confine

Confine.
Una parola che, già nel suono, porta con sé la difesa, il limite, la separazione e la chiusura; identifica spesso qualcosa da difendere e tutelare da possibili contaminazioni esterne.
Una parola che sa essere tagliente e pericolosamente dolorosa, soprattutto quando come sinonimo ha barriera.

Cosa posso provare davanti a un confine? Curiosità di vedere cosa c’è oltre, paura di essere avvistato da chi li presidia ma anche la necessità di scoprirmi, di sapere chi sono e di essere stabile nella mia identità.
Tutto questo è ancora più vero quando il confine mi separa dall’Altro che professa un credo religioso diverso dal mio.

Rimanendo nel “mio” territorio posso sbirciare, orientando (e viziando) la mia ricerca solo verso qualcosa che può esserci di apparentemente negativo e che mi fa stare comodo nelle mie certezze, oppure apprezzare la vita, i colori e i vissuti carichi di speranza che si trovano oltre.
In un primo momento posso aver paura di perdere il controllo di una verità che pretendo di detenere, e puntare il dito e barricarmi dietro ai miei confini.
Oppure, lentamente, come in una danza, andare incontro e fare il primo passo, senza pregiudizi e formule solo sentite e troppo spesso ripetute. Oltre quel “confine” che spesso abbiamo posto tra religioni presentate come concorrenziali, posso trovare aspetti e realtà che possono aiutarmi a scoprire e guardare con occhi nuovi ciò che scelgo ogni giorno, aiutandomi a comprendere bene ciò che sono anche in relazione all’altro.
In questo modo, approfondendo la mia vocazione e ciò che sono chiamato ad essere nel mondo, mi accorgo delle “vocazioni degli altri”, di semi che, piantati al di là dei confini, fanno crescere alberi di verità ed umanità: vocazioni alla vita, alla responsabilità, all’unità, all’impegno sociale, alla cura per il creato… chiamate suggerite e curate dallo Spirito che mai si abituerà a guardare etichette e definizioni, sempre pronto a esserci oltre i nostri confini e a soffiare laddove mai andremo per primi. La vocazione, allora, non ha confini, è una chiamata talmente aperta e vasta che non può riguardare solo i cristiani: non un unico linguaggio o un solo colore, ma tante sfumature e voci per permettere a ciascuno di ascoltare ciò che per lui è più vicino.

C’è vocazione laddove c’è una chiamata a uscire da se stessi per andare incontro all’altro, un altro che spesso non conosco ma che è “o mio fratello nella fede o mio simile nell’umanità” – come ci ricorda questo detto diffuso in occasione del viaggio di papa Francesco in Bahrein.
Tutto questo non è una moda, una fissazione o una pretesa di modernismo. Ce lo chiede, con gran forza, la storia, che non vuole però un appiattimento delle differenze o una svendita di ciò che è proprio: sarà infatti lo Spirito il garante “dell’armonia delle differenze”, un’armonia che sa di progresso, di pace e di vita. Di vocazione… senza confini!

(Giuseppe Tramontin, rivista SE VUOI 1/2023)