… nello spazio
NON SI PIANGE?
L’ assenza di gravità non permette alle lacrime di disperdersi, poiché si condensano sul volto o nell’occhio e non scendono.
Una scoperta, questa, che mi fa dire che forse la terra è per noi quella “casa” in cui poter essere autonomamente fragili, quel luogo che, anche se dovesse capitarci di poterlo vedere da lontano, resterà quel posto che custodisce chi abbiamo amato, odiato, atteso, accolto.
Ho ripensato anche al giorno esatto in cui ho sentito il bisogno di non trattenere più le lacrime per una forte perdita vissuta. Ricordo solo che ho pianto per giorni, ma quel periodo è stato anche il tempo della rinascita. Il dolore non svanisce, ma ci si ricarica, un po’ come quando da bambina pensavo che il sole lottasse per cacciare via la notte e alla fine ogni alba era la sua vittoria. Abbiamo bisogno di spazi, fisici o del cuore che siano, dove sentirci liberi anche di piangere, per poter attraversare le nostre “lotte”.
Piangere: darsi il permesso di essere fragili, ma che male c’è? Quante volte abbiamo detto o ci hanno detto la classica frase: «Dai, non piangere!» e se invece io volessi? E se avessi trovato in te quelle braccia in cui mi sento a casa? Quanto è difficile imparare ad accogliere un pianto senza sentirsi di troppo, ma scelti per accogliere l’altro così com’è.
Tutte le volte che tratteniamo le lacrime, stiamo viaggiando nello spazio, lontani dalla terra, distanti da noi stessi. Che poi, per dirla tutta, non piangere non ci rende più forti, ma solo pentole a pressione dalle valvole rotte.
Quanto sarebbe bella, allora, la rivoluzione delle lacrime, la giornata mondiale del pianto e non per intristirci necessariamente, quanto per darci il permesso di sentirci fragili e quindi meravigliosamente più umani, liberamente noi stessi.
(Roberta La Daga, rivista SE VUOI 1/2024)