Grazie, Siria!

Testimonianza di Giuseppe Tramontin

Colgo l’occasione di raccontare la mia Voce dal mondo per tener fede ad una promessa fatta durante il viaggio di ritorno dalla Siria: non smettere mai di parlare di ciò che ho visto e vissuto lì. Quando mi chiedono perché io, giovane docente di religione e studente di teologia, ho scelto di vivere questa esperienza mi piace sempre dire che è la Siria che mi ha chiamato e chiesto di essere lì, senza alcuna aspettativa, per scuotermi nelle mie ormai poche certezze, e tutto questo si è “attivato” grazie ad una breve testimonianza di Naji e Nisreen (famiglia che ho poi incontrato dal vivo ad Aleppo, con i loro figli George e Charbel) ad un incontro online organizzato a febbraio come segno di vicinanza post-terremoto.
Ho attraversato il paese in lungo (non in largo, perché ci sono zone poco sicure nel Paese) per incontrare le comunità cristiane che lì vivono, soffrono e sperano: una specie di visita pastorale (senza essere Vescovo!). In compagnia di Lina, focolarina organizzatrice appassionata di questo viaggio, e di P. Andrea, sacerdote gesuita, abbiamo ascoltato drammi, fatiche e sogni di giovani e famiglie, per provare, con loro, ad essere segno e testimonianza della tenerezza del Padre. Essere lì mi ha riportato all’essenziale della vita, della quotidianità e della fede: da oltre 12 anni, infatti, i siriani vivono con poche ore di energia elettrica al giorno, l’acqua che scarseggia ed una condizione economica precaria e in costante peggioramento. 
Nonostante tutto, lì si continua a sperare: mai ho sentito nei loro racconti e nelle loro domande “dov’è Dio in tutto questo?”. Molti ci hanno invece posto con durezza e verità la domanda che porto con me e che sta pian piano plasmando le mie scelte: dov’è l’uomo? Perché si ostina nel male, anche laddove a soffrire sono milioni di innocenti? Perché l’Occidente non capisce l’assurdità delle sanzioni e dell’embargo e vede e vuole, nel silenzio, questa (ed altre) tragedie? Una speranza vissuta nel buio (anche fisico visto i lunghi black out) da cui scaturisce una sincera lode per il Signore che, nonostante tutto, sentono presente.
Davanti ad una realtà molto diversa, ho sentito forte l’appello a non giudicare le apparenze, a spogliarmi delle mie certezze spesso esclusive e a rimanere nella frustrazione che emerge davanti ad alcune realtà che forse non hanno risposta. La Siria è stata per me scuola di pluralismo, stimolo a riconoscere, senza ingenuità, la presenza di Dio in tutto e in tutti e ad accogliere la possibilità di domande che hanno più risposte, spesso contemporanee.

Nel bel mezzo del deserto, sulla terrazza del monastero di Mar Mousa, ero in compagnia di Amir, giovane laureato in ingegneria informatica: sotto lo stesso cielo la stessa meraviglia e lo stesso stupore, io per la danza di stelle che ci abbracciava nell’assenza totale di luci artificiali, e lui per un aereo che, indisturbato, attraversava i cieli (l’embargo ha chiuso – tra le altre cose – lo spazio aereo).
La Siria mi ha aiutato a riempire di senso e di vita parole prima vuote seppure drammatiche: guerra, profughi, immigrazione hanno adesso il volto di chi mi ha offerto pranzi prelibati pur avendo perso tutto, la faccia di ragazze costrette a lasciare le proprie famiglie per scappare dall’Isis o gli sforzi di chi, per disperazione sta facendo di tutto per fuggire dal paese, con grande dolore e spesso illegalmente, per evitare di adempiere al durissimo servizio militare, che può durare anche 10 anni.
Questo viaggio ha avuto per me l’effetto di una sveglia, una voce nel deserto della mia quotidianità che mi ha aiutato a ripartire in un momento in cui ero un po’ fermo e bloccato e scoprimi, in quella situazione ben fuori dalla mia zona di confort, adulto, pronto finalmente a rivedere la narrazione che ho di me, che ho scoperto parziale e poco disposta ad accogliere i tanti lati di luce che mi compongono. Grazie Siria per avermi accolto, così come sono, e per avermi rimesso in piedi.

(rivista SE VUOI 6/2023)