Mi sono innamorato di DIO!

di P.Frédéric Vermorel, eremita in Calabria

Carissimo, carissima, è un po’ strano scrivere a te che per me non hai volto perché ne hai mille! Ci provo, però, per raccontarti qualcosa della mia avventura.

Da diciannove anni conduco vita semi eremitica in Calabria.
“Come mai questa scelta?”, mi si chiede spesso. Ebbene, non è una scelta! Ti sei già innamorato? Spero di sì! In ogni modo, saprai che non si “sceglie” di innamorarsi, ma semplicemente “capita”. Poi vengono le scelte: quella di fidanzarsi, quella di sposarsi, oppure no. Lo stesso vale per la vita monastica e per quella particolare forma di vita consacrata che è il monachesimo eremitico. Quel che mi è “capitato” fu di innamorarmi di Dio.
Ora, come ogni storia d’amore, la mia non fu “un lungo fiume tranquillo”! Piuttosto un torrente di montagna, in zona carsica, con le sue cascate, i suoi percorsi più tranquilli e le sue scomparse sottoterra… per riapparire poco più avanti.

Ho iniziato la vita eremitica a quarantacinque anni. In realtà, non sapevo che la stavo iniziando! Sapevo di ricominciare da solo un percorso monastico interrotto sei anni prima, ma non immaginavo di rimanere da solo, e men che meno di scoprire che ci stavo bene in questa vita dove si alternavano lunghi periodi di solitudine con periodi di vita comune con gli ospiti di turno.
È la vita che mi ha guidato, proprio come guida due giovani che si scoprono fatti l’uno per l’altro. Dopo un po’, ho dovuto arrendermi all’evidenza (anche linguistica): un monaco che vive da solo si chiama “eremita”.
Alle spalle avevo una bella esperienza di vita comunitaria: due lunghe permanenze presso l’Arca di Jean Vanier, una comunità che pone al centro le persone con una disabilità mentale; vari soggiorni presso il monastero di Goiás in Brasile; alcuni mesi trascorsi in seno al monastero di Marango, vicino a Venezia, e, soprattutto, dodici anni come membro della Fraternità Monastica di Santa Maria delle Grazie, a Rossano Calabro. Esperienze belle, anche quando furono dolorose, e che tutte mi prepararono in un certo qual modo alla vita che ormai conduco.

La mia esistenza è molto semplice: prego, lavoro, accolgo. E accolgo nella preghiera e nel lavoro. A sua volta il lavoro alimenta la preghiera e consente di accogliere, e la stessa preghiera, oltre che ospitare i volti dei vicini e dei lontani, si fa offerta e contemplazione dei frutti della terra e del lavoro dell’uomo…
Rispetto ad altri monaci, non mi alzo molto presto, ma solo alle 5.15. Le prime parole che pronuncio, prima ancora di uscire dal letto, sono sempre le stesse da anni: “È bello dar lode al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunziare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte, sull’arpa a dieci corde e sulla lira, con canti sulla cetra.
Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza. Come l’erba sono i giorni dell’uomo, come il fiore del campo, così egli fiorisce. Lo investe il vento e più non esiste e il suo posto non lo riconosce. Ma tu resti lo stesso e i tuoi anni non hanno fine. Ma tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore, Dio fedele, volgiti a me e abbi misericordia: dona al tuo servo la tua forza, salva il figlio della tua ancella”.

Non di rado metto al plurale la finale di questa preghiera che intreccia versetti provenienti da vari Salmi. Questa preghiera, che non ho composto, ma che è venuta formandosi col passare degli anni, dice bene quel che mi abita: la lode, la meraviglia, la struggente percezione della nostra fragilità – oh, quanto dolorosa in questo tempo che ha visto la guerra scatenarsi in Ucraina! – ma sulla quale si erge, dolce e forte, la fedeltà del nostro Dio ricco di misericordia. Il resto della giornata è scandito dalla liturgia: mattutino, lodi, ora media, vespri, compieta. Negli spazi liberi trovano posto la lectio divina (cioè la meditazione orante della Parola di Dio), i pasti, il lavoro manuale ed intellettuale, le visite che ricevo e che faccio, le conversazioni con gli ospiti e le passeggiate con cani e gatti…

Ecco, una vita senza nulla di straordinario, ma dove tutto canta, anche quando piange e grida.