Toccare con mano le piaghe dell’umanità

Suore Scalabriniane a Lesbo con i migranti

 

 

La terra brulla e ocra dell’isola entrava fin nella pelle. La mascherina che abbiamo usato per contenere i contagi Covid faceva sentire ancor più il calore dell’estate. Ma in quest’isola, l’ultimo lembo d’Europa che guarda a Est, non siamo andate per il mare ma per toccare, come direbbe il Papa, le miserie dell’uomo. A LESBO, isola greca più vicina alla Turchia che alla sua madrepatria, le si percepiscono profondamente, con mani e piedi. Ormai da due anni noi Suore Scalabriniane lo viviamo ogni estate, grazie a un’intesa con la Comunità di Sant’Egidio che ci porta ad essere con loro in prima linea. Quest’isola era conosciuta per le spiagge e per la sua destinazione turistica da “Paesi ricchi”, ma per noi ha avuto una veste completamente diversa. Decine di migliaia sono i profughi e i rifugiati che approdano lì dopo un viaggio della speranza. È un viaggio che ha il sapore della scommessa della vita: i rifugiati vivono in tende o baracche più o meno improvvisate, luoghi che diventano roventi in estate. Girare per le loro case di fortuna, però, non ci avvilisce perché chi arriva qui ha comunque un tesoro da mostrare: il sorriso. Lo fanno i grandi ma soprattutto i più piccoli. Sorridono perché hanno la speranza, perché in Europa si sentono più al sicuro, perché hanno modo di toccare tangibilmente che siamo qui per aiutare loro, per cercare di dimostrare che c’è speranza e che il loro futuro può essere a colori. La cosa che ci siamo portate a casa e che ci fa sbalordire sono i bambini: hanno una forza di vivere e un coraggio da vendere. Non si voltano, guardano sempre in avanti.

Lesbo è lo specchio delle fratture della società: le emergenze, quelle causate dalle “carrette del mare” mosse da trafficanti spregiudicati di esseri umani, chiama tutte noi a mobilitarci per aiutare i rifugiati che non hanno mai smesso di affollare le rotte del Mediterraneo. Da consacrate è la nostra missione, la nostra chiamata. A Lesbo tocchiamo con mano le piaghe dell’umanità. Sui barconi migliaia di persone, donne, bambini non accompagnati, cercano un varco verso la speranza. L’attività missionaria è fondamentale non solo per rispondere ai bisogni primari ma anche per dare conforto, essenziale per chi ha lasciato tutto dietro di sé e spesso ha visto cadere lungo il cammino le persone più care. Noi suore qui abbiamo avuto modo di vivere con i migranti e per i migranti. Un piccolo luogo che guarda lontano e che fotografa una crisi globale. Basti pensare che solo Africa e Asia accolgono tre bambini migranti su cinque. A livello mondiale il 30% delle persone che migrano ha meno di 18 anni. È alto il numero dei piccoli che lasciano la famiglia per mettersi in cammino sulle strade della migrazione, spesso fidandosi di singoli o di gruppi che trafficano speculando sulla pelle dei migranti. A Lesbo tutto questo si vede con precisione. Lo abbiamo notato nei minori che arrivano senza i genitori, in tutti quei piccoli che vengono accompagnati da nonni, zii, amici, semplicemente perché mamma e papà li hanno persi o durante il viaggio o durante una guerra. Il cimitero dei giubbotti salvagente, una distesa dei rifiuti abbandonati dopo gli sbarchi, pesa emotivamente come un macigno. Particolarmente toccante è stata lì la nostra visita. Noi siamo andate più volte a pregare in quel luogo per le vittime e per chi oggi si trova in Europa a difendere, con mani e piedi, la sua vita. Di chi erano quei giochi, quelle scarpette abbandonate lì? Ogni volta che tornavamo nel campo tra le migliaia di persone eravamo sempre più convinte della nostra opera.

La ricetta che parte da Lesbo e che è valida in tutto il mondo, c’è: potenziare i corridoi umanitari, valorizzare le reti di cooperazione internazionale, spingere a rafforzare le intese con chi, per vocazione e carisma, lavora con e per i migranti tutti i giorni. È questo il “kit” delle soluzioni che devono essere all’attenzione prioritaria di tutte le istituzioni. Perché nell’isola c’è un tema non solo locale, ma arrivano i disequilibri di tutto un pianeta. Qui arrivano i frutti orribili delle guerre, i risultati delle carestie, i drammi personali di chi ha subito violenze indicibili. Riprendendo le recenti parole di Papa Francesco dette nel corso di una intervista tv, nel mondo ci sono lager dove i migranti vengono torturati. Le istituzioni che si definiscono democratiche ne sono al corrente, ma nulla si fa per debellare quella che è a tutti gli effetti una piaga che sembra non riesca a guarire. Nel frattempo, con tutte le ferite che hanno subìto, si arriva nei punti di approdo. Lesbo è uno di questi. Quel calore estivo che ustiona le lamiere che si fanno casa, non sono niente rispetto al dolore di un viaggio che è fuori da ogni umanità. Una barbarie che vede l’uomo vittima di un responsabile che conosce benissimo: l’uomo stesso.

(rivista SE VUOI 2/2022)