Un cuore
senza confini
di don EGIDIO MONTANARI, sacerdote Orionino
Quando ripenso alla storia della mia vocazione e mi chiedo perché proprio dagli Orionini, la risposta che mi viene più spontanea è: “Non sono stato io, è Don Luigi Orione che ha scelto me”. Nel Lodigiano dove sono nato non ci sono case della Congregazione e si sentiva parlare di molti santi, ma non di Don Orione.
Un giorno, un prete di Don Orione è venuto da noi a scuola. Ricordo che distribuì dei fogli dove si doveva scrivere cosa si voleva fare da grandi, e io, avevo dieci anni, scrissi: “Voglio andare a fare del bene in India”. Non so cosa intendessi e sapessi dell’India, so solo che già da allora desideravo diventare prete. Quell’Orionino non mi ha più mollato e così a quindici anni sono entrato in un seminario della Congregazione. Sono arrivato fino al noviziato e qui mi sono fatto la domanda: “Ma perché da Don Orione?”.
C’erano degli aspetti del suo carisma che non mi convincevano molto e cominciavo a dubitare non tanto della mia vocazione sacerdotale, quanto della mia presenza in Congregazione. Ma una sera, mentre ero solo nella mia camera, un’intuizione inaspettata mi ha attraversato la mente e il cuore, proprio riguardo i punti sui quali avevo le maggiori perplessità. È stata come una luce improvvisa che mi ha fatto capire ciò che prima sembrava così lontano dalla mia sensibilità. Era Don Orione che mi chiamava.
In seguito ho avuto tante altre difficoltà, ma la forza di quell’intuizione mi ha mantenuto fedele allo spirito Orionino, che avverto in grande sintonia con il Vangelo, soprattutto dove si dice che Gesù “vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9, 36). L’infinita compassione di Gesù vuole trasformare la massa informe delle pecore, in un popolo consapevole, unito intorno ad un solo Pastore, che non rinchiude le pecore nell’ovile, dove sono solo munte, tosate e non trovano da mangiare, ma le vuole portare fuori, in pascoli aperti. Gesù è venuto sì per unire, ma al di fuori dell’ovile, per spingere tutti verso una fraternità aperta e universale, dove ognuno trovi se stesso, e se stesso in comunione con gli altri: “Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce” (Gv 10, 3).

Questo spirito di comunione, di unità e di libertà, mi ha spinto a lasciare l’Italia per andare in Ucraina, e iniziare una avventura fuori dagli spazi conosciuti, per ampliare quella missione vissuta in una parrocchia di Voghera (PV), dove sono stato parroco, ma che sentivo doveva allargarsi alle “altre pecore che non provengono da questo recinto” (Gv 10, 16), come voleva Don Orione: un “cuore senza confini”.
Sono ventuno anni che sono in Ucraina. Abbiamo iniziato tutto da zero, con problemi a non finire, ma il Signore e la bontà della nostra gente ci hanno sempre sostenuto. Ed ora imprevedibilmente ci troviamo nel mezzo di una guerra.
Molti si aspettavano e tanti ci consigliavano di tornare in Italia. Ma la nostra scelta è stata quella di rimanere qui, per condividere anche questa immane e assurda tragedia.
Partire sarebbe stato come rinnegare tutto ciò che avevamo proposto e vissuto fino a quel momento. All’inizio della guerra la nostra vita è stata completamente cambiata dall’accoglienza dei profughi.
Abbiamo aperto la casa a decine di sfollati e creato una rete di collegamento con l’Italia per accogliere tante mamme, bambini, bambini malati, autistici, anziani, disabili, ciechi… più Orionini di così non si poteva essere. E questo è stato il nostro contributo alla costruzione della pace. Abitiamo nella periferia di Leopoli, dove stiamo costruendo una chiesa, ed essa stessa è diventata un simbolo della nostra resistenza. Non ci siamo fermati, abbiamo tenuto aperto il cantiere, nonostante il pericolo delle bombe: “Di fronte a chi distrugge, noi costruiamo”.
E allora, forse, potrebbe essere questo il nostro messaggio a voi che state leggendo: lasciamoci spingere da Gesù fuori dai nostri recinti, per essere costruttori di pace, di comunione e di libertà.