Una STORIA con “TE”

 

di don VINCENZO BRUNO

 

 

 

Da studente di storia mi sono sempre risuo­nate le parole di Henri Marrou sulla STORIA come «conoscenza dell’uomo, nella sua ricchezza, nella sua complessità sconcertante, nella sua infinità». La storia, diceva lo stesso Marrou, risponde al desiderio di «arric­chire, mediante gl’incontri, la nostra immagine dell’uomo». L’incontro con l’altro, del resto, è il perno su cui ruota la nostra ricerca di fede che la Scrittura ci consegna, ovvero l’espe­rienza dell’incontro con il Signore che cambia la vita. Lo scorso 19 dicem­bre è ricorso il primo anno della mia ordinazione presbiterale, un cambiamento di vita non indif­ferente, una scelta in cui si è scelti, frutto di un percorso, di una storia, la mia, che è la storia di tanti ragazzi che a un certo punto della loro vita si sentono chiamati a dare una direzione alla pro­pria esistenza.

Le radici della mia fami­glia contadina sono pro­fondamente attaccate alla campagna dell’entroterra brindisino dominato da distese di vigneti e uli­veti, a metà strada tra l’Adriatico e lo Jonio (quando si dice l’imbarazzo della scelta…). Infanzia bella, serena, in un ambiente familiare ordinario con mamma, papà, sorella più grande, nonni, parenti, amici. Una passione fin da bambino mi ha sem­pre ispirato: la curiosità e l’interesse per ciò che mi ha preceduto, per ciò che è successo prima di me e intorno a me. Sarà stata una particolare pro­pensione all’ascolto della grandissima mole di te­legiornali visti in casa, dei racconti del nonno pri­gioniero di guerra in un campo di lavoro in Ger­mania durante il secondo conflitto mondiale. Chissà?!
La passione per la storia e la politica crescono sempre di più, si unisce quella per il calcio, tifoso del­l’Inter (qualcuno potrebbe dire «che tristezza», ma vabbè).
Fino ai 14 anni il discorso della fede è legato al ca­techismo dell’iniziazione cristiana, niente di più e niente di meno. Poi, per caso, mio cugino mi in­vita nel gruppo mini­stranti della parrocchia, e in maniera abbastanza fortuita mi ritrovo a col­laborare per la catechesi. Di fatto, comincio ad av­vertire che questa mia prima esperienza di ser­vizio verso qualcun altro concretizza quella mia sensibilità storico-poli­tica. Rispetto ai tanti pro­blemi che vedo intorno a me, sento che l’essere cri­stiano, seguire il Signore alla luce del Vangelo può essere la soluzione di cui mi voglio fare portatore. Da qui il passaggio nell’Azione Cattolica nel set­tore giovanile come edu­catore. E così gli anni del liceo classico si articolano tra casa, liceo, chiesa, cotte, calcetto con gli amici, nuoto, anche arbi­tro di pallavolo.

Leggo tanto, mi accosto ai vangeli, li medito, li ac­compagno a qualche testo del cardinale Martini. Avverto pian piano l’esi­genza di una scelta di servizio più forte, più ra­dicale. Da qui inizia a ba­lenare il pensiero verso il ministero presbiterale. Comincio a parlarne col mio parroco, all’epoca cinquantenne, grande figura ed esempio per me. Mi consiglia di coltivare questo pensiero, ma di andare avanti nella vita ordinaria e di proseguire con l’Università. Mi iscrivo alla Facoltà di Lettere e Fi­losofia a Roma, scelta di cuore. Mi confronto con la prima grande scelta di vita, un grande cambia­mento. Da ragazzo di provincia il passaggio a una grande metropoli incute un po’ di paura. Tuttavia, dopo il timore iniziale le cose vanno alla grande. Nuove relazioni, lo sti­molo magnifico della ri­cerca universitaria, il passaggio alla FUCI (Federa­zione Universitaria Catto­lica Italiana) come cattolici impegnati nel no­stro ambiente. Anni spensierati, straor­dinari. Ma c’è quella do­manda a cui sento di dover trovare una risposta.
E allora i colloqui si fanno più seri, dal parroco al vescovo, poi col rettore del Collegio Capranica di Roma.
Mi trovo davanti a un bivio che genera una crisi: lasciare il porto sicuro della vita universitaria o intraprendere lo scono­sciuto cammino semi­nariale?

La mia famiglia non sa­rebbe molto entusiasta, ma mi vuole bene e ac­cetterebbe tutto. Non dormo la notte, ci prego su, mi confronto. Ma mi fido, a 21 anni mi getto in una nuova av­ventura che si rivelerà bella, di messa in discussione delle proprie certezze, dei propri aspetti umani; un percorso di amicizie, anche di battute d’arre­sto, ma davvero significa­tivo nel fare chiarezza dentro di me. Un cammino, una storia del resto, che continua tutt’ora negli incontri decisivi con gli altri, dove c’è l’Altro.
Questo periodo di pan­demia ha condizionato pesantemente il nostro modo di incontrarci. Alla luce della mia storia, a voi giovani vorrei dire che si schiude un tempo in cui con maggiore sensi­bilità dovremmo aprirci a quelle relazioni capaci di metterci sanamente in discussione per discer­nere, per comprendere la propria direzione di vita. «Mai ci si salva da soli!». Buon cammino!

(rivista SE VUOI 2/2022)