CORPI E ANIME

CURA - Prof. Andrea Bizzozero, P. Università Antonianum

Leggere il presente attraverso una narrazione.

«Attraversando o, meglio, abitando questo tempo segnato dalla pandemia, cosa possiamo cogliere quale specifico della cura? Per rispondere basterebbe mettersi in ascolto delle tante persone che in questi mesi si sono prodigate a favore dell’altro. Cosa hanno fatto? Cosa è successo in loro e attorno a loro? Qual è il senso di questa dedizione? Cosa hanno mostrato? Perché si sono presi cura dell’altro? Provo a leggere la situazione partendo da un artificio narrativo, quale coagulo di significati reali trasposti al livello del romanzo, in virtù del quale è possibile rendere la descrizione della realtà e offrire la possibilità di un’identificazione che conduce all’introspezione e alla conoscenza di sé.
Michel, il travagliato medico del romanzo di Maxence van der Meersch, Corpi e anime, dopo un lungo itinerario che si rivelerà di conversione professionale, intellettuale ed esistenziale, giunge a riconoscere nel malato una persona di cui avere cura e, in questa singolare presa di consapevolezza, scopre il gusto della responsabilità per l’altro. Anzi, in modo ancor più sorprendente, realizza che è possibile un nuovo modo di guardare: se stesso, il proprio lavoro, la vita. L’epilogo del romanzo è illuminante:

«Mediocre? […] forse, sì. Pochi soldi, un lavoro pesante, una compagna fragile […]. Agli occhi del mondo, senza dubbio si è comportato come un insensato […] ma in quest’ora, camminando attraverso la campagna col cuore ancora tutto in tumulto per la morte di Francine, Michel sente con una strana lucidità che egli è vissuto secondo la verità, che deve a Eveline la gioia, la sola vera gioia accessibile all’uomo. Le miserie della sua sposa, la sua malattia, le sue sofferenze gli hanno permesso di comprendere Domberlé; gli hanno dato, con le chiavi della salute e della saggezza, il potere inestimabile di confortare e di guarire […] Soltanto per virtù di lei egli ha potuto assurgere allo splendore della verità. Ed è radioso destino quello di poter giungere alla verità attraverso l’amore, di poter giungere anche alla carità […] egli ha imparato ad amare i suoi simili malgrado le loro sconcezze, le loro meschinità, le loro sozzure; per merito di Eveline, la creatura umana, pur attraverso i suoi cenci e le sue volgarità, si è rivelata a lui nella sua grandezza, ed egli ha saputo vederla nella sola maniera che non delude mai: come un terreno incolto dove seminare la verità, come un’occasione per prodigarsi».

L’epilogo del romanzo mette in luce un enigma quasi insolvibile: qual è il senso della vita? Il narratore ci rende partecipi di questo interrogarsi, anzi, fa sì che noi stessi ci interroghiamo su Michel: è una vita in-sensata, senza senso? Gli unici elementi che abbiamo per rispondere, li possiamo ricavare dalla descrizione puntuale che il narratore fa del nostro protagonista: cammina, ha il cuore in tumulto per la morte, sente una strana lucidità. Nella commozione, in quel movimento del cuore e della vita, causato dalla fragilità dell’altro e dalla morte, Michel giunge ad una più piena consapevolezza di sé e del suo stesso essere bisognoso. Quando finalmente si è lasciato interpellare dalla miseria, dalla malattia e dalla sofferenza di Eveline; nel momento in cui prova sconvolgimento di fronte alla morte, si scopre capace di una nuova responsabilità: quella della cura. Non solo, si ritrova egli stesso bisognoso di cura. Il medico, chino sul malato, si riconosce curatore curato, ora finalmente capace di scorgere nuove tonalità dello scorrere della quotidianità. Il prendersi cura dell’altro gli permette di scoprire il «vivere secondo verità», conduce ad una strana e inedita lucidità, ad un’illuminazione interiore in grado di introdurre ad una nuova esperienza di intelligibilità in virtù della quale scorge lo splendore della verità.
Il romanzo racconta solo l’esperienza di un medico che impara a guardare – a risignificare – tutta la sua vita a partire dall’esperienza della cura, scoprendosi a sua volta trasformato dall’amore e dalla cura: il volto dell’altro – qui la relazione con Eveline – con il suo richiamo alla responsabilità permette, a chi vi risponde, di intravvedere lo splendore della verità e, più ancora, che la verità non si comprende se non nella carità».

L’aver cura dell’altro, della sua umanità finita e sofferente, la cura del medico Michel, così come il prodigarsi di molti sanitari in questo tempo di pandemia, dicono di un aspetto fondamentale dell’essere umano e di una particolare prospettiva dalla quale dare corpo alla società. Riconoscere l’altro nelle sue esigenze e istanze più profonde; decidersi di avere cura della vita per far emergere il gusto del bene, quello donato da chi cura, esperito da chi è curato, riverberato su quanti ne sono testimoni, permette di rinnovare un’unità profonda che qualifica, configura e dà senso alla co-esistenza umana.

Prof. Andrea Bizzozero, PUA, Roma.

In questo mese la proposta di “un libro al centro” si arricchisce dei contributi di alcuni Professori della Pontificia Università Antonianum che hanno provato a leggere la situazione attuale, fortemente segnata dalla pandemia, alla luce di alcune parole-chiave che scandiscono come un percorso di risignificazione di quanto vissuto. Il percorso, chiamato evocativamente PHILOTERAPIA è stato tracciato a cadenza settimanale e trasmesso online in diretta.
Ogni singolo contributo può essere scaricato in questa sezione in formato pdf oppure se ne può gustare la video-registrazione sulla pagina Facebook “Pensare Facendo”.
Per il contributo di questo mese, la parola chiave è CURA e la proposta di lettura è fatta dal prof. Andrea Bizzozero.
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