LIMITE
Prof. Diana Napoli
La parola “limite” ha di primo acchito un significato negativo. Se consultiamo il dizionario on line Treccani, incontriamo immediatamente una serie di definizioni (“confine, linea terminale o divisoria”, oppure “il termine spaziale o temporale o comunque quantitativo che non può o non deve essere superato”) che ci inducono ad associare al termine limite un’idea di chiusura. Tuttavia, anche solo continuando a scorrere le definizioni del vocabolario, troviamo delle definizioni più dinamiche (“confine ideale, livello massimo, al disopra o al disotto del quale si verifica normalmente un determinato fenomeno”, “estremo grado cui può giungere qualcosa, modalità estrema di un fenomeno”) che ci consentono di riflettere sul limite come una nozione che veicola uno sforzo, un’attività, una tensione, permettendoci di associare alla parola “limite” un orizzonte di significati che non vanno nella direzione della chiusura, ma in quella del cambiamento, delle possibilità e addirittura dell’apertura.
Indubbiamente l’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto negli ultimi due anni (e che si è trasformata in emergenza sociale, economica, affettiva per certi versi) ci ha fatto confrontare con la nozione di “limite” in tutti i suoi significati. Dal punto di vista sociale, economico, individuale, sono stati posti limiti a tutte le nostre attività: nel nostro muoverci, nel tempo della nostra giornata, nel numero delle persone che, in alcuni periodi, potevamo vedere; è tornato con prepotenza, più generalmente, il limite che la società esercita nei confronti dell’individuo.
Per far emergere ulteriormente il legame tra la nozione di limite e quella di possibilità, possiamo anche leggere la pandemia non tanto come una situazione-limite, quanto come una situazione “al limite”, una situazione portata al punto estremo delle sue possibilità: può esplodere oppure, se noi cogliamo le possibilità che offre, si può trasformare.
Da questo punto di vista la pandemia potrebbe essere letta come il limite a cui è arrivato un tempo, un modo di essere della società. Quello che c’era prima deve cambiare, è stato, appunto, portato al limite. Prendiamo la scuola: la pandemia l’ha messa a dura prova, ha portato al limite le possibilità di questa istituzione. Ma così facendo ne ha messo in evidenza le grandi carenze. Siamo sicuri che deve continuare esattamente come prima? E questo vale per tante altre questioni: la sanità, le istituzioni europee, le tutele sociali.

In questo senso ci può venire in aiuto, ugualmente sulla falsariga di una riflessione su Kant, Michel de Certeau che ha – in parte – articolato la sua riflessione sui periodi liminari, di passaggio, di trasformazione, sui margini, sui confini. Come pensiamo dunque, partendo da Certeau, il limite come passaggio? Certeau ci offre due indicazioni importanti. Ad un primo livello, ci dice che il primo cambiamento deve avvenire proprio nelle possibilità del pensiero: non si può pensare il cambiamento solo con gli elementi che funzionavano “prima”, non lo si può gestire partendo da una discorsività che funzionava “prima”. Il cambiamento, se non vogliamo ci travolga, deve essere accompagnato innanzitutto elaborando le categorie per pensarlo: noi stessi dobbiamo essere pronti a cambiare, a metterci in discussione sforzandoci di trovare prima di tutto un diverso punto di osservazione.
In secondo luogo tutti i momenti di passaggio, per quanto intensi, non permettono in sé una trasformazione radicale da un contesto a un altro. Ogni crisi, ogni situazione al limite porta alla luce delle pratiche che sono già “al limite” e che sono interessanti perché contengono, al rovescio, la struttura della società, svelando quindi la crisi del suo paradigma. Restando all’esempio della scuola, per capire i cambiamenti di cui ha bisogno non ci servirà analizzare l’eccellenza formativa, ma le pratiche di esperienze marginali, al limite, come può essere la Scuola della Pace della Comunità di S. Egidio attraverso cui leggiamo le crepe e le mancanze di un sistema. Per capire la società dobbiamo collocarci all’interno delle sue contraddizioni, in una zona “extraterritoriale” da cui osservare il territorio “autorizzato” che non esisterebbe se non avesse stabilito un limite oltre il quale si sta “fuori” (per tornare al nostro esempio, non è più scuola, ma scuola della pace).

[…] È un esercizio difficile, un po’ da equilibristi: non cedere alla tentazione di iniziare tutto completamente da capo (significherebbe porsi oltre il limite e basta), ma non limitarsi a continuare il mondo così com’era; un esercizio in cui non si tratta di affilare le armi del sapere, ma di passare dal sapere alla pratica.
È probabile che per Certeau questo fosse semplicemente un atteggiamento cristiano. Basta leggere le sue riflessioni sugli Esercizi spirituali. Per Certeau il libretto degli esercizi spirituali costituiva una sorta di guida per un viaggio di cui tuttavia non erano indicate le tappe e men che meno la meta. La guida indicava però un costante rapporto con il limite: limite necessario per delimitare un luogo ma il cui scopo era l’oltrepassamento del luogo stesso, in un viaggio che consisteva di volta in volta nell’abbandonare una certezza, un luogo, senza nessuna idea della meta finale. Il pellegrino che si apprestava a mettersi in cammino doveva sgomberare il campo dal fine, dallo scopo, dalla supposizione. Si trattava di un viaggio che non si poteva intraprendere pensando in anticipo cosa Dio avrebbe voluto, semplicemente perché Dio non vuole nulla di tutto ciò che il soggetto può pensare, è più grande – non il più grande, o più grande di, è qualcosa che ci eccede e in questo senso è indifferente. Il viaggio senza meta verso il discernimento non è però il perdersi nel cambiamento lasciandosene estaticamente trascinare. La guida degli Esercizi ci indica il metodo: di volta in volta rapportarsi al limite per superarlo secondo regole precise, in un’attesa ordinata dell’altro. Non la paura, il terrore, ma un’attesa ordinata che ha a suo fondamento il desiderio, ciò per Certeau indica la cifra dell’esperienza cristiana: la passione dell’altro.
Il “cambiamento d’epoca” che stiamo vivendo è stato solo accelerato dalla pandemia. Siamo sulla soglia, sul limite e al limite, nello sforzo di non farci travolgere ma di intravedere le possibilità che si schiudono e individuare le responsabilità che ci aspettano. È, come scrivevamo prima, un compito politico della filosofia, ma forse anche un esercizio cristiano.
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Informazioni utili
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- Tag: Filosofia, Attualità, Pandemia, riflessione, Spiritualità, covid, pensiero,
- Destinatari: Tutti,
- Autore: Michel de Certeau,
- Pagine: 339
- Prezzo: € 24
- ISBN: 9788873132752
- Editore: Edizioni Lavoro
- Anno: 2012