6 Ottobre 2023
- Spazio Bibbia, Bereshit

Commento alla prima Lettura della XXVII Domenica del T.O. (ANNO A),
a cura di M.Francesca e Letizia ap

Dal libro del profeta Isaia (5,1-7)

Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle.
Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate;
in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi.
E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi?
Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata.
La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele;
gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.

È questa la terza domenica di seguito che la liturgia, in particolare il Vangelo, ci colloca dentro alle dinamiche che si creano in una vigna, luogo di lavoro e di vita molto caro alla nostra cultura mediterranea. A differenza delle altre domeniche, però, oggi rimaniamo a contemplare la vigna per quello che è: un’immagine potentissima dell’amata vista con gli occhi dell’amato, da leggere in parallelo alle pagine più belle del Cantico dei Cantici (1,6; 8,11), ma anche a quelle dei profeti Osea, Geremia e a questa pagina bellissima di Isaia. La vigna del Signore è la casa di Israele e in particolare è la città di Gerusalemme; ma è anche metafora del corpo femminile in tutta la sua valenza erotica. La sposa/vigna risponde all’amore dello Sposo, fatto di cura costante, di tempo, di dedizione…, portando il frutto atteso. Ecco che nel linguaggio biblico il vino diventa segno della relazione d’amore tra gli sposi, della gioia e dell’allegria dell’amore. Perché la gioia viene dal sapersi amati e dal poter amare.

“Voglio cantare per il mio amico / il canto del diletto per la sua vigna./ Una vigna aveva il mio amico…” (5,1 lett.). Il profeta, amico di Dio e quindi particolarmente in sintonia con lui, prende a cantare le parole d’amore che Dio – l’amante, il diletto di Israele, lo sposo, – dedica alla sua sposa, al suo popolo.
Ma questo “cantico” non si rivela tale… Le parole del profeta iniziano con un racconto molto simile a una parabola, ripresa da Gesù nel Vangelo (Mt 21,33-43); poi diventano ben presto una denuncia spietata contro il male di Israele (per rendercene conto nel dettaglio, dovremmo leggere tutto il capitolo 5 di Isaia).
Perché un cantico che non è un cantico? Forse, di fronte a un uditorio distratto e intento a godersi il piacere, il lusso, il benessere che si è procurato a scapito dei più deboli, l’unico modo che il profeta ha trovato per farsi ascoltare è iniziare col proporre un intrattenimento piacevole e non impegnativo. C’è in questa ipotesi (sostenuta da alcuni studiosi della Bibbia) un’attualità sconcertante. Anche nella nostra cultura, nella quale tutti siamo immersi, dominata da immagini fugaci e brevi frasi da social, postàti per mostrare, abbellire, divertire…, spesso vige la stessa legge.

Una volta ottenuto l’ascolto, il messaggio è amaro come il frutto acerbo della vigna: quello che si è venuto a creare, dice Isaia al popolo e ai suoi capi, non è una risposta all’amore ricevuto, ma un sistema religioso che produce un frutto “malato, amaro” perché ingiusto, fatto di “spargimento di sangue”, cioè dispersione di energie, di doni, fino alla soppressione della vita altrui; e “grida di oppressi” dovute a relazioni di potere, di ingiustizia e di sopraffazione.
Una vigna che produce un frutto malato viene lasciata a se stessa, viene fatta diventare pascolo.
Parole dure, non certo un lieto fine, ma un appello forte alla conversione. Perché l’amore è una cosa seria, e alla fine tutto quello che desideriamo è amare sul serio.


Qôl/call

Mi lascio guardare con gli occhi di Dio, quale sua vigna amata…. Dio cerca la giustizia e la rettitudine come risposta d’amore al suo amore quotidiano… cosa mi distrae nell’offrire questa risposta?

sr. Letizia 
molesti.l@apostoline.it